domenica 17 novembre 2013

Edvard Munch - Il grido

« Camminavo lungo la strada con due amici quando il sole tramontò, il cielo si tinse all'improvviso di rosso sangue. Mi fermai, mi appoggiai stanco morto ad una palizzata. Sul fiordo nero-azzurro e sulla città c'erano sangue e lingue di fuoco. I miei amici continuavano a camminare e io tremavo ancora di paura... e sentivo che un grande urlo infinito pervadeva la natura. » Così Munch parla de "L'urlo", uno dei quadri più noti della storia dell'arte, tanto da essere spesso tralasciato, dato per scontato: un'icona finita. In realtà il dipindo offre spunti di analisi molto complesse e per niente scontate. Partiamo dalla Norvegia, un luogo periferico, lontano dai fermenti creativi di un epoca in grande evoluzione. Dopo il 1850 l'Europa vive quella che viene definita la primavera dei popoli, la presa di coscenza delle masse, lo sviluppo industriale, l'intensificazione dei commerci. L'Inghilterra, Francia, la Germania, l'Austria e la Russia, anche se in modi diversi e con risultati spesso incompatibili, stanno uscendo dal limbo settecentesco e si avviano verso un futuro intriso di novità e rivoluzioni. Munch si trova lontano dai centri nevralgici e artistici europei. La sua Norvegia esce da poco (1814) dalla dominazione danese ed è sotto il controllo svedese che durerà fino all'indipendenza del 1905. La sua è una terra affascinante, ricca di contrasti, dove la natura selvaggia si mostra potente e sovrumana. Munch si sente piccolo di fronte a questa natura gigantesca che urla in silenzio la sua maestosità. E lui è lì, in mezzo al silenzio di un creato enorme e pervasivo, lontano dal resto del mondo. La sua angoscia, il suo richiamare l'attenzione invano, il suo cercare di comunicare la sua angoscia e la sua finitezza umana lo portano a raccontare se stesso attraverso i colori. Un precursore dell'espressionismo che da "Il grido" (nelle sue varie versioni) prende spunto per  il progetto “Il Fregio della vita” (1893-1918) composta da numerose tele elaborate secondo quattro temi fondamentali: Il risveglio dell’amore, L’amore che fiorisce e passa, Paura di vivere, di cui fa parte Il Grido, e La Morte. Ma si arriva all'urlo attraverso il narrare quel luogo specifico, quella balaustra affacciata sul fiordo in molte tele. Quel luogo speciale, lontano dai rumori della città in un anfiteatro naturale che affaccia sul mare. Il pittore spettatore e protagonista del quadro.

Il dipinto Dispeir del 1892 ci mostra questo luogo speciale. Un pontile, un bel vedere che offre una visione dall'alto di un fiordo. Il paesaggio è un vortice sanguigno e tumefatto che si confonde in una spirale che sembra avvolgere tutto. Munch è lì, in silenzio, in disparte, lontano dai suoi due "amici" borghesi che si allontanano indefferenti a lui e alla natura. La lingua del fiordo è silente alla disperazione del pittore. Questo luogo tornerà ancora più emaciato e delirante nel grido del 1893. La figura è devastata e pervasa dall'orrore, dalla paura, le sue forme si confondono con il roteare della spirale paesaggistica come a sottolineare che in fondo anche l'uomo è natura, ma è una natura persa, che non sa più quale è il suo posto, forse uno spettatore ... ma nemmeno. Il protagonista è in soggettiva, guarda l'astante, noi che osserviamo la tela, ed è questo gioco a spiegare il tutto. Io guardo te, mentre te osservi me, come se Munch fosse all'interno del dipinto e osservasse per sempre gli "spettatori". Ora ne "Il grido" la natura è ancora più cosmica, e avvolge tutto partendo dal basso della terra con una lingua serpentiforme che si perde nel fiordo; un occhio gigante e senza pupilla si staglia a sinistra nel cielo e controlla in silenzio la scena. La società è sempre lì, ancora più in disparte e sempre indifferente al grido dell'artista il cui volto è quasi un teschio. I colori della pelle rimandano alla decomposizione della carne, alla morte inevitabile.     

Nel 1892 Munch ci presenta in "Sera sulla via Karl Johan" una folla inquietante e curiosa che osserva e non parla. Una folla ben vestita, integrata, efficente, ma anonima. I volti tendono a confondersi, a diventare puntini spersi in una strada che è il pontile della città. La natura è più in disparte, ma ricorda la sua presenza nella roccia irta e gigantesca che incombe sull'opera dell'uomo. Siamo noi che guardiamo il quadro o sono loro che ci osservano? La prospettiva in soggettiva della folla è ancora più inquietante.

È infine in "Anxiety" del 1894 che si chiude il cerchio. Torna il paesaggio de "Il grido", la natura è ancora più difforme ed emblematica, nel cielo una fenice rossa ricorda la potenza degli elementi. L'uomo è lì, sul pontile, in soggettiva che osserva silente e insensibile il pittore. Una folla che diventa via via informe,  ectoplasmatica. Sullo sfondo le sagome della città ... forse ... e le immancabili navi che potrebbero portare Edvard lontano da lì.

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