lunedì 4 gennaio 2016

Le storie delle musiche - Breve analisi del '900

Sintetizzare in questo breve approfondimento ciò che è avvenuto nella musica è un'impresa praticamente impossibile perché l'arte dei suoni ha visto nei millenni innumerevoli regolarizzazioni, evoluzioni, rivolgimenti, contaminazioni, divisioni interne. L'origine legata all'imitazione della natura è stata ridefinita nel tempo fino a delineare due grandi correnti: la musica a programma, che "racconta" una storia e la musica assoluta, non rappresentativa, che considera l'arte dei suoni l'arte pura per eccellenza, senza corpo e materia palpabile, da non "sporcare" con le altre discipline. La musica aveva fatto la sua grande rivoluzione autoriale e linguistica già nell'Ottocento con Ludwig van Beethoven che aveva definitivamente svincolato la figura del compositore da quella di "servo" e messo in discussione le regole acquisite con le sue composizioni, in particolare con le sue sinfonie. Successivamente, proprio con la musica assoluta (termine coniato da Wagner nel 1846 a proposito della nona sinfonia di Beethoven), i poemi sinfonici, la musica da tappezzeria con i primi loop della storia (senza fine temporale teorica alcuna) e il primo pianoforte preparato di Satie, passando per la rielaborazione della musica popolare fatta dai grandi compositori dell'est, si preparava il terreno per l'esplosione delle avanguardie che avrebbero inaugurato il nuovo secolo in Russia, Italia e successivamente in Francia e Austria. Un discorso a parte merita il melodramma italiano che si inserisce trasversalmente in questa evoluzione, creando una terza via, una vera e propria rivoluzione linguistica che proverà a fondere la musica con il teatro, la poesia, la danza. Se le "espansioni" strutturali di Igor' Fëdorovič Stravinskij iniziate nel 1910 con "L'uccello di fuoco" rinnovavano profondamente il linguaggio senza disgregarlo, ma comunque aprendo un nuovo percorso musicale per tutto l'est europeo, la musica sembra non essersi fermata mai in questa trasformazione, ampliando (come nel caso del compositore russo) o mettendo perennemente in discussione quanto acquisito. In effetti, potremmo parlare di "Storie delle musiche", tuttora in evoluzione, all'interno del percorso occidentale, senza neppure scomodare il resto del mondo e gli studi etnomusicologici. Questa discussione che è alla base di radicali destrutturazioni ancora in atto, ha visto molti momenti di rottura che hanno aperto a diversi "racconti" espressi con innumerevoli linguaggi. L'inizio del secolo vede anche l'affermarsi del cinema, un'arte giovane e "bisognosa" di musica perché "muta", che stava creando dal nulla il suo linguaggio, in cui le didascalie sembravano essere un elemento di disturbo e di arresto nel fluire di un discorso fatto solo con immagini in movimento, tanto da spingere molti autori a mettere in relazione la qualità della pellicola con la totale assenza di didascalie presenti ("La lettera rossa" di Victor Sjöström del 1926 e "Aurora" di Friedrich Wilhelm Murnau del 1927). Con l'aumento della durata dei film, l'elaborazione di storie sempre più complesse, le numerose regolarizzazioni del montaggio, si è fatta sempre più pressante l'esigenza di riempire questo "vuoto", questo imbarazzo di fronte al silenzio straniante della rappresentazione con "qualcosa".  Già nel 1909 questo spinse la casa cinematografica Edison a pubblicare un catalogo intitolato "Suggestion for music", in cui a ciascun tipo di azione o emozione erano associate melodie del repertorio classico da far eseguire a uno o più musicisti durante la proiezione del film. Non mancavano certo le composizioni originali create per i vari lavori, ma generalmente si riducevano alle produzioni maggiori. Questo affiancare i film con una colonna sonora scritta per il film ed eseguita dal vivo durante la sua proiezione, incontrò l'interesse di un numero crescente di compositori. Nel 1908 il francese C. Saint-Saëns compose la prima importante partitura originale per film per "L’Assassinat du Duc" de Guise di C. Le Bargy. Tra gli altri celebri compositori che svilupparono le prime musiche originali per film, vi furono il già citato Satie, I. Pizzetti, Sergei  Prokofe´v. In Italia, dove in questo periodo nascevano i primi colossal della storia, ci fu grande interesse nei confronti del sonoro (non solo musicale) legato al cinema. Il primo vero confronto con l'idea di colonna sonora che innescò anche un terremoto nel linguaggio musicale, fu quello dei futuristi italiani che ha fatto da apripista alla musica concreta. Il loro manifesto "L'arte dei rumori" (scritto da Luigi Russolo nel 1913) associava il concetto di musica a quello di rumore elevando quest'ultimo a vero oggetto della composizione. La stessa idea dei futuristi italiani anticipava, anche grazie all'intonarumori di loro invenzione, le sonorità che saranno tipiche della musica concreta trentacinque anni più tardi. Nello stesso anno il francese Eric Satie mostra la sua scrittura del tutto originale, sperimenta nuove forme del suono e inventa la tecnica del pianoforte preparato inserendo per la prima volta degli oggetti nella cassa armonica dello strumento nell'opera "Le Piège de Méduse"; dopo avere già venti anni prima (siamo nel 1893) composto il primo brano di musica d'ambiente, una composizione teoricamente senza fine, il brano più lungo della storia, "Vexations", composto da trentacinque battute ripetute 840 volte per una durata totale di circa venti ore. Satie darà un grande impulso al rapporto tra musica e arte, com'è evidente nel balletto "Parade" del 1917, a cui hanno partecipato alla realizzazione Jean Cocteau e Picasso. In questo balletto cubista, Satie usa suoni molto innovativi come sirene, macchine da scrivere e altri effetti sonori non tradizionalmente musicali e scrive brani antiaccademici difficilmente inquadrabili nei generi conosciuti. Lontano dal melodramma italiano (che come accennato sembra fare storia a sé e anticipare il "teatro filmato") la rivoluzione investe anche la terra della musica propriamente classica: l'Austria. Nel 1923, il "trifoglio" viennese che aveva contribuito alla definizione della musica moderna, fu spazzato via dalla teorizzazione della dodecafonia fatta da Arnold Schönberg che dissolse in un istante tutte le regole armoniche acquisite nei secoli. Questa ennesima bomba scoppiata sul pentagramma avrà conseguenze importanti nell'approccio all'arte dei suoni per i nuovi compositori, anche per quelli più tradizionalisti. Intanto nel cinema americano arriva il sonoro. Nel 1926 la presentazione di un nuovo procedimento chiamato vitaphone, che prevedeva che il suono fosse registrato su un disco e sincronizzato con il proiettore, fu un vero e proprio trionfo, così che l’anno successivo uscì il primo film sonoro: "Il cantante di jazz" di A. Crosland, con la colonna sonora incisa sul bordo della copia. Se già nastri magnetici e sirene erano stati utilizzati in numerose composizioni, nel 1928 inizia la produzione industriale in America dell'eterofono inventato nel 1919 in Russia e contemporaneamente in Francia dell'Onde Martenot. L'interesse per questi dispositivi elettronici è tale che in pochi anni vengono inseriti in alcune orchestre e diventano l'oggetto di numerose composizioni, tra cui "Equatorial" di Varése del 1934 resta uno dei brani spartiacque della storia con il merito di aver aperto definitivamente le porte alla musica elettronica (con melodia e armonia). Da questo momento in poi la composizione si trova arricchita di timbri, voci, fino ad arrivare negli anni, ad utilizzare veri e propri strumenti musicali virtuali che non solo non hanno cassa armonica, corde o ance, ma non esistono neppure materialmente. Quindi non solo musica invisibile, ma anche strumenti invisibili e mediati solo dall'elettronica, dall'elaboratore. Una musica profondamente intrecciata con scienza, fisica e matematica, fatta di vibrazioni sonore che dischiudono il linguaggio verso i "Colori fantastici" di nuove orchestre digitali che estendono i suoni fino all'inudibile (per cui i suoni esistono, sono traducibili in onde digitali, ma non sono più udibili dall'orecchio umano per via di frequenze sub e iper-armoniche e devono affidarsi ad un terzo "orecchiocchio".[1] E se una parte di queste sperimentazioni è stata riassorbita dal sistema diventando oggi musica di genere, e l'innovativo lettrismo del 1946, «teoria in perpetuo divenire, un sistema totalizzante basato sia sulla decostruzione del linguaggio ridotto all’insieme delle lettere e dei segni, sia sul disfacimento della forma e della pittura trasformata in poliscrittura», di un grande precursore/anticipatore come Isidore Isou, è rimasto un movimento poetico, artistico e musicale estremamente marginale, la musica concreta di Pierre Schaeffer del 1948, dove la rielaborazione diventa importante al pari dell'atto creativo e il rumore della quotidianità si sostituisce al suono, si sviluppa in un terreno ormai preparato, nel momento "giusto", e trova ampio seguito. Nel 1951, grazie al progresso e alla diffusione di nuove apparecchiature, Schaeffer, Pierre Henry e il fisico Andrè Moles fondarono con i finanziamenti dello studio parigino RTF, il Gruppo di ricerca di musica concreta che ha creato il primo studio per comporre esclusivamente musica elettronica. "Abbiamo chiamato la nostra musica concreta, poiché essa è costituita da elementi preesistenti, presi in prestito da un qualsiasi materiale sonoro, sia rumore o musica tradizionale. Questi elementi sono poi composti in modo sperimentale mediante una costruzione diretta che tende a realizzare una volontà di composizione senza l'aiuto, divenuto impossibile, di una notazione musicale tradizionale". Nello stesso periodo, nacquero diversi studi di musica elettronica e altri autori iniziarono a comporre seguendo la stessa filosofia contrapposta allo strutturalismo "postweberniano". "Desert" del 1954, una composizione di Edgar Varèse per fiati e percussioni, viene considerata il primo capolavoro di questo metodo compositivo, mentre "Gesang der Jünglinge im Feuerofen" del 1955 di Karlheinz Stockhausen è la prima composizione di musica concreta a presentare sonorità provenienti da segnali generati elettricamente. In questo "genere" la mancanza di riferimenti armonici e melodici creerà, come nella musica futurista, una sorta di straniamento permanente, mantenendolo nel tempo un linguaggio alternativo a quello prettamente musicale. Senza dimenticare il contributo di Webern e della serializzazione integrale, questo passaggio avanguardista della musica elettro-acustica (che pur affievolito nel numero di sperimentatori prosegue ancora) spiega il rapporto stretto tra musicisti e esperti di videoarte. Il montaggio di tipo musicale, la post produzione elettronica già avviata dal lettrismo, mettono in crisi il montaggio di tipo fotografico. In America, il vento del cambiamento prende il nome di Jazz, lo stile musicale popolare nato dalla canonizzazione della musica popolare degli schiavi, che ha accompagnato il primo film sonoro della storia. Quella del jazz non è stata tanto una rivoluzione musicale, piuttosto una rivoluziona culturale che ha dato il via ad un discorso parallelo, una seconda via, nella storia della musica occidentale alternativa a quella europea, che però non destruttura quanto acquisito, ma estende l'armonia propriamente classica (il periodo del "trifoglio" viennese), tralasciando la storia della musica antecedente al periodo propriamente classico e le successive evoluzioni strutturali/armoniche/ritmiche nella musica europea. Questa leggerezza di analisi, leggerezza anche sonora che ne ha decretato il successo, sarà il motivo del rifiuto di molti compositori europei, in contrapposizione a Gershwin che eleverà il jazz inserendolo nella sua musica colta, di riconoscere la validità di questo sistema tanto che il grande compositore russo Stravinskij, che con "Il rito della primavera" aveva raggiunto livelli armonici, ritmici e melodici, ad oggi inarrivabili, scriverà addirittura dei brani-sberleffo di matrice jazz come "Piano rag music" (1919), per metterne in luce l'elementarità strutturale e sminuendo quello che veniva mostrato come il baluardo dell'innovazione jazzistica: l'improvvisazione solistica, che invece, senza saperlo, riprendeva un'antica prassi della musica barocca italiana che si era protratta per secoli. Parte delle innovazioni europee non sono però sconosciute a tutti. Le lotte interne, i tentativi di approccio e confronto con le altre arti e il cinema sembrano trovare finalmente un punto di approdo culturale nell'artista-compositore americano John Cage, la cui opera per certi aspetti potrebbe sembrare la naturale evoluzione di quella del francese Eric Satie, anche se a ben guardare il compositore americano, a differenza del suo "maestro spirituale" francese non sembra anticipare o aggiungere nulla alla musica postweberniana. Se questo è vero, è perché a lui non interessava minimamente far parte di quel macrodiscorso. Il suo era un approccio diverso, non prettamente musicale e non debitore della filosofia kantiana, ma un vero e proprio intreccio che muove la ricerca verso nuove forme espressive, nuove metodologie produttive, nuove filosofie come quella Zen, il cui concetto fondamentale è la mancanza di fini, di scopi, di intenzioni, che sarà un punto di riferimento imprescindibile per gli artisti Fluxus e per la Soundart. Durante la visita alla camera anecoica dell'università di Harvard, dove era possibile "sentire/ascoltare il silenzio", Cage sente/percepisce il suo corpo. Sente i rumori del suo respiro, del sangue, del cuore, delle articolazioni. In sintesi capisce come sia impossibile raggiungere il silenzio che è quindi fondamentalmente una condizione sonora, è essa stessa materia, onda rarefatta ma indistruttibile. Successivamente compone "4'33", per qualsiasi strumento", un "opera" che consiste nel non suonare lo strumento. Potrebbe sembrare pretestuoso, ma è molto importante a livello estetico, perché mette in discussione la figura dell'autore, la figura del compositore genio, di origine romantica, proprio quello che aveva dato inizio alla rivoluzione musicale in cui si era inserito lo stesso Cage. E se senza il compositore romantico, l'autore musicale sarebbe ancora oggi considerato al pari di un servo, questo non sembra essere un problema per John Cage. In fondo per un americano come lui la plurisecolare storia della musica europea è solo una delle tante "storie delle musiche". Ora, se per quest'artista l'autore genio esclusivamente musicale non conta nulla, tanto varrà sostituirlo con l'automatismo di un robot che sceglie al suo posto, senza ragione, sfruttando una programmazione randomizzata (la cui idea però non è affatto casuale, ma proprio opera dell'autore/programmatore). La prima composizione in cui Cage impiega questa nuova tecnica è "Music of Changes" per piano solo, del 1951. Il processo "compositivo" sfrutta meccanismi casuali gestiti da un calcolatore che sceglie all'interno di "celle" dei suoni, tra varie possibilità di combinazioni ritmiche, melodiche e armoniche, in una sorta di assurdo e irriverente bingo elettro-musicale. Oggi tutto è cambiato e sono pochi i musicisti che continuano a sperimentare accordature, ricercare nuovi linguaggi, preparare strumenti, ragionare in termini che vanno oltre la musica. Per contro l'industria si è in un qualche modo "appropriata" di questa intermedialità applicandola alla musica popolare in cui i concerti delle star, sembrano aver conquistato addirittura l'attenzione di grandi artisti dell'arte per la loro capacità di fondere performance, musica, videoistallazioni, design, danza, "poesia". In questo senso le forme espressive si ramificano incessantemente e la musica occidentale, tranne un ristrettissimo numero di sperimentatori imperterriti ed emarginati dal mercato musicale, vede da un lato la canonizzazione dei generi musicali, che hanno definitivamente sostituito le tradizionali musiche nazionali, e dall'altro innumerevoli filoni, più o meno colti e più o meno commerciali, che creano solo stilemi e cliché per radio, televisione, cinema, danza e teatro, ma forse, anzi sicuramente, un'altra rivoluzione musicale è già in atto.

Marco Brama



[1] Virtual Audio Project Orchestra, 1997 "Psike ed Electra", CS Records

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