mercoledì 4 dicembre 2013

Media Digitali e morte dell'arte


Come i "nuovi" media stiano cambiando la comunità e il pubblico è cosa nota, quello che è meno noto è come questa presunta democratizzazione dal basso stia in realtà ripercorrendo il gioco piramidale della società capitalistica. In effetti tutto quello che "accade" sul World Wide Web è oggetto di studi e di trattative economiche legate ad aziende che hanno rapidamente cambiato il loro modo di fare affari. Oggi tra i beni più preziosi non annoveriamo più solo petrolio, diamanti e oro, ma i dati. I dati sensibili e no degli utenti sono diventati oggetto di scambio, indagini di mercato, studio e condivisione tra grandi aziende che li catalogano in enormi database che vengono poi riutilizzati nelle campagne elettorali e in quant'altro. Se da un lato l'istituzionalizzazione delle informazioni sembra essere svincolata dal vaglio dei "cavalieri" nominati per quello scopo, dall'altro la controcultura dei blog e dei canali tematici non convenzionali è essa stessa relegata a ben poca cosa. Un ruolo importantissimo è quello svolto dai Page Rank tra cui il più importante è sicuramente quello di Google. La nuova informazione non è orizzontale come si auspicava e credeva fino a un decennio fa, ma verticale. Più click hai e più ne avrai! Trovando dei risultati nella prima pagina di un motore di ricerca, il pigro internauta non si spingerà a cercare (tranne in alcuni casi) informazioni meno cliccate e presenti nelle pagine successive. Questo comporta un aumento scalabile incontrollato dei primi classificati che saranno sempre più forti e presenti. Ora il problema non è l’attendibilità di un risultato in base a parole specifiche come “Galileo Galilei”, in cui probabilmente si cercano informazioni sul grande fisico, matematico e astronomo italiano, o “sonda Galilei”, in cui si cercano informazioni sulla NASA o su Giove, o ancora “scuola Galileo Galilei Napoli” per accedere al portale dell’Istituto Superiore Partenopeo; il problema si manifesta chiaro quando si cercano argomenti generici con parole tipo “Cultura”. I risultati, a parte l’immancabile Wikipedia, sono tutti relativi a istituzioni, quotidiani, settimanali  o enciclopedie online convenzionali. Quindi cosa intendiamo per “controcultura” quando sono le CLASSIFICHE popolari a dettare le regole? Eh sì! Perché un enorme difetto è proprio questo appiattimento popolare. Basta pensare a come i quotidiani online siano MOLTO diversi da quelli cartacei. Nella trasposizione digitale dei giornali tradizionali si assiste ad un abbassamento culturale dell’agenda setting. Si parla di tutto indistintamente. Un argomento come “Il nuovo vestito di Lady Gaga” può convivere ed essere molto più cliccato di “Strage in metropolitana, 20 morti”. Questo fenomeno sta determinando un tremendo mistake tra quello che è il punto di arrivo di una società e quello che è il suo punto transitorio popolare. Gli influencer poi non rendono certo la vita facile alla cultura; sono proprio loro che smaniosi di un lavoro istituzionalizzato abbassano ulteriormente il livello delle notizie “notiziabili”. Un vero iperdiscount dell’informazione in cui i discorsi da bar sono amplificati fino a generare l’universo popolar-populistico dei “Mi piace” su Facebook o delle classificazioni, con tanto di stellette, in riviste TRAGICAMENTE prese a modello che parlano di Cinema o Musica. Classificare un film, un lavoro teatrale, un album musicale (ovviamente non prettamente commerciale ndr) è quanto di più ridicolo si possa fare con l’arte. L’arte non può essere valutata! Che emerita stronzata post “Warholiana” è quella di giudicare un quadro come “I girasoli”, un film come “Psiko”, una composizione come “La sagra della primavera” con le stellette? Ricorda tanto la puntata dei Simpson in cui ai più bravi venivano appiccicate delle agonizzate stelline di carta sul volto pur di rendere merito alla bravura.
foto Daniele Vita - GT Agency
Certe opere non sono belle o brutte! Sono più o meno importanti per l’evoluzione della società (FORSE) e non è nemmeno questo il punto. Un’opera, qualsiasi sia la sua natura, è il racconto di un artista e la sua visione del mondo in quel contesto e come tale va rispettata. Riscoprire Vivaldi nel ‘900 non è accorgersi che è stato bravo! Lo era già! È semplicemente accorgersi dell’esistenza di “qualcuno” che ha “qualcosa” da raccontare in una forma sublimata che non è parola, ma appunto arte! I media digitali stanno rovesciando governi e opinioni (e questo non è di per se un male), ma comprendere il valore del pensiero, evitare la censura (sempre pronta a condizionare e stabilire regole con muri purtroppo anche digitali), attraverso STRUMENTI e CONOSCENZE, è ben altra cosa!

Marco Brama

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