venerdì 20 dicembre 2013

Esperienza Estetica

Alexander DORNER nella sua opera maggiore THE WAY BEYOND ART si ispira al pragmatismo deweyano; egli utilizza un modello interpretativo che intende sviluppare una possibilità di lettura della vicenda umana in termini di auto trasformazione totale delle strutture culturali, verso un concetto di libera evoluzione affrancata dalla tradizionale opposizione tra ESSERE ASSOLUTO e DIVENIRE STORICO. Per Dorner c’è una comune tendenza a ricondurre l’intero arco delle manifestazioni della cultura umana a specifiche strutture spirituali innate e permanenti, senza appunto considerare che si tratta di tipi storici e transitori di organizzazione dell’esperienza (seppure ampiamente diffusi e consolidati nella tradizione). L’interpretazione della cultura arcaica dal paleolitico superiore fino alle civiltà preelleniche occupa un ampio capitolo centrale del lavoro di Dorner L’EVOLUZIONE DELA REALTA’
Davenport - Giacomo Guidi
MAGICA. Egli osserva le civiltà del Calendario, le grotte di Lascaux, Niaux, Altamira. I disegni DEMONICI, sono stati creati per influire sulla vita quotidiana e non possono essere paragonati a nessuna arte o al piacere estetico che ne deriva. In questa proto-mentalità, che potremmo definire una Mentalità Magica, la Rappresentazione di un animale non è fine a se stessa, ma incarna il momento, quel momento specifico. Per le società arcaiche manca un’attitudine selezionatrice; l’oggetto incarna tutto e non è un simbolo. Le rappresentazioni sono incisive, aggressive e dinamiche, strettamente collegate all’efficacia pratica del rituale. Le opere arcaiche sembrano inseguire la ricchezza, la fuggevolezza, insomma l’impatto fulmineo di potenti impressioni colte nella loro simultaneità al di qua di ogni esigenza di coordinazione o gerarchia; si ricrea una rappresentazione EFFICACEMENTE VIVA. Tuttavia, secondo il critico tedesco, è possibile cogliere nelle civiltà del calendario (Egitto, Messico, Mesopotamia) il primo tentativo di creare un ordine nel caos dei potenti oggetti demonici, un abbozzo di coordinazione e di gerarchia degli elementi. Tuttavia l’opera arcaica vive in quel momento, è un opera dei sensi; nessun oggetto può essere diviso in parti di cui alcune soggette a mutamento e altre no. Le produzioni iconografiche sono atti creativi istintivi, non opere da osservare; nella rappresentazione c’è tutto, la vita stessa, il bisogno vitale della caccia, della riproduzione. Per lo storico dell’arte BRANDI l’immagine magica si colloca all’inizio del processo di distinzione-costituzione delle due fondamentali funzioni della coscienza umana: quella figurativa e quella semantica. Alle produzioni del paleolitico o del neolitico non è possibile attribuire valore o intenzionalità d’arte proprio perché esse si situano al di qua di quella cruciale biforcazione: le pitture parietali offrono contemporaneamente immagine e conoscenza della realtà; non si può negare la potenziale figuratività di queste rappresentazioni, ma la sostanza conoscitiva non è ancora di tipo SEMANTICO vero e proprio. La diversità fondamentale tra arcaico e classico, per BRANDI,  è la chiarezza con cui si distingue segno e immagine; distinzione che ha valore strutturale perché corrisponde al definirsi della COSCIENZA nella sua fondamentale bidirezionalità. La civiltà greca compie quel passo decisivo e incalcolabile costituito dalla più netta separazione delle due dimensioni della coscienza: quella ARTISTICA, dove l’immagine si libera dei residui referenzialistici sviluppando una diretta specularità che si innalza a forma, e quella CONOSCITIVA nel lògos, che fa decadere, nella costituzione del concetto, ogni connotazione figurativa. Per Dorner un punto di svolta sicuramente parziale, ma significativo si verifica proprio nella fase egizia con lo

Christo e Jeanne Claude in Sidney
sviluppo di una REGOLARITA’ nella successione delle immagini e nella loro realizzazione all’interno di spazi delimitati quadrangolari. C’è un mutamento, un approfondimento lento e multiforme e solo con l’avvento della civiltà greca si assiste alla maturazione di un vero pensiero razionale. Non si ha più gerarchia di figure, ma la trasformazione della superficie in simbolo. Nella cultura greca si cerca l’assoluto, il razionale nella forma; così come la filosofia cercava di scoprire gli oggetti ultimi, razionali, immutabili, così l’arte tendeva a rappresentare l’essere interiore. Gli ENTI FISSI nella mentalità antica, sono forme estetiche, ossia cose che possono ancora essere percepite coi sensi nonostante la loro astrattezza spirituale, il pensiero classico è quindi ancora legato alla dimensione della sensibilità; gli oggetti della conoscenza SUPERIORE coincidono con quelli CERTI e le forme sono molteplici, non ultime; quindi RAZIONALE e RAPPRESENTAZIONE SENSIBILE sono inseparabili. Per Aristotele gli Dei della forma sono molti, in ragione del limite che ogni forma comporta, non possono essere che molti. Per i Greci il mondo ambiguo delle figure delle religioni mediterranee si scinde e si fissa nella singolarità univoca delle divinità olimpiche: I SENSI DA REALI A FIGURATI cadono, la molteplicità delle rappresentazioni si fa molteplicità delle sostanze, quindi per CARLO DIANO le cose riducono intera alla SUPERFICIE (quindi mettono fuori, visibile, rappresentato) la loro ESSENZA invisibile, interiore.  È il mondo delle forme che sorge e con esso appare per la prima volta lo spazio separato dal tempo. Comincia ad emergere il mondo di queste forme, che sono molteplici perché fatte da molteplici sostanze. La dimensione dell’evento è la dimensione del divenire, della mobilità a cui corrisponde un modello pratico e tecnico del sapere. ERIC HAVELOCK in PREFACE TO PLATO sostiene però che nel linguaggio platonico FORMA E IDEA sono termini che indicano GLI OGGETTI CHE SONO ben distinti e opposti rispetto alla classe degli eventi e degli oggetti dell’esperienza sensibile, ossia rispetto a quei fatti che avvengono piuttosto che essere e che sono rappresentati per immagini invece di venir pensati. Platone chiama FORME i SIMBOLI delle astrazioni morali per renderle definitive perché per Platone le forme non possono essere create ma solo contemplate e comprese.  La lettura platonica svolta da Havelock arreca un ulteriore sostegno a quella proposta da Dorner del pensiero antico In termini di pensiero estetico, giacché vien fuori l’assoluta centralità del legame tra forma, stabilità e percezione qualitativa. Il pensiero Platonico appare già pienamente contraddistinto da un processo di intima fusione tra logica ed estetica e, parallelamente, da un consapevole distacco tra il concetto di un autentico sapere e tutte quelle forme di esercizio culturale che sono legate alle THECHNAI, alla POIESIS, alla costruttività e all’artificio. Attraverso il pensiero filosofico viene perseguita la costituzione dell’immagine di una forma solida che sfugge alla magica indeterminatezza. I solidi platonici rappresentano fuoco, terra, aria, acqua e universo; l’affinità di filosofia ed arti si manifesta non solo dell’aspirazione al raggiungimento di forme ultime e ideali, ma nel presentarle come qualcosa di DIRETTAMENTE PERCEPIBILE. L’uso del termine EIDOS (Forma/aspetto) in Platone rimanda a una situazione di questo genere infatti, mentre cerca di oggettivare e separare la conoscenza superiore dall’opinione comune, osserva Havelock, Platone tende anche a rendere la conoscenza nuovamente visiva, da contemplare visivamente.  La concezione razionale dell’universo in età classica è anche una concezione estetica in quanto cerca una dimensione armoniosa del mondo ultimo e ideale. Si può dunque affermare che già a partire da Platone c’è lo sviluppo di una concezione estetica dell’assoluto. C’è una piena identificazione di logica ed estetica, di struttura formale ed evidenza sensibile, ma c’è una frattura tra ESTETICO e ARTISTICO (in senso materiale).



Attraverso due grandi opere della maturità deweyana, ESPERIENZA E NATURA (1925) e LA RICERCA DELLA CERTEZZA (1929) Dewey sostiene che la scienza antica accettò i dati dei sensi nella loro apparenza esteriore e poi li organizzò, così come stavano naturalmente e originariamente, classificandoli per mezzo di operazioni di classificazione logica. Gli antichi Greci erano consapevoli dei difetti e delle lacune della percezione dal punto di vista conoscitivo. Per loro le categorie usate nella descrizione e spiegazione dei fenomeni naturali sono di natura estetica; una concezione di carattere estetico coglie gli immediati tratti qualitativi delle cose; attraverso un processo di selezione e organizzazione dei tratti qualitativi delle cose in base a armonia, proporzione e simmetria. La verità può essere ottenuta solo abbandonando la natura contingente delle cose. La forma fu la prima e ultima parola della filosofia perché era stata la prima e l’ultima dell’arte. Nella mentalità greca un oggetto è fatto perché se ne ha bisogno, l’arte non è un’attività libera e fine a se stessa. L’artigiano esiste solo in vista del prodotto ed il prodotto in vista del suo bisogno. Il fine del processo, la forma, è il principio e la fonte di tutta l’operazione. L’uomo libero è universalmente utente e mai produttore; l’utente è superiore, perché libero, rispetto all’artefice, alle variegate espressioni dell’artigianato, della poiesis. . Per ARISTOTELE nelle cose, nella natura è già presente il senso che l’uomo può soltanto portare alla luce e non creare. Aristotele condizionerà tutto il pensiero fino al ‘600 con l’idea che la sostanza è costituita dalla pluralità della materia e dalle sue qualità: per lui non è possibile trovarne l’omogeneità totale di fondo. Per i Greci gli oggetti della scienza sono gli stessi oggetti del senso comune. Per i MODERNI gli oggetti non sono da assumere come criteri di spiegazione, ma semplici punti di partenza. Il carattere peculiare della scienza antica è contemplazione estetica degli oggetti, supremamente reali. Con GALILEO e NEWTON la natura verrà vista come una massa informe, regolata da leggi e qualità universali.  Per gli antichi, manca la concezione di spazio e tempo infiniti e assoluti tali da costituire un A-PRIORI universale e unitario. La matematica e la geometria rimangono una classificazione naturale dei fenomeni appunto naturali, come appaiono dall’osservazione diretta; misura, simmetria rispondono a canoni essenzialmente estetici. I simboli e le forme matematici e geometrici sono il primo passo verso l’emancipazione della scienza dal senso comune. Per gli antichi tutti i fenomeni naturali dovevano essere conosciuti in termini qualitativi come bello o brutto, forte o debole. Galileo e i suoi seguaci dicono che queste forme sensibili sono problemi su cui indagare e non soluzioni; bisogna cercare gli oggetti di conoscenza su cui fondarsi e con cui proseguire nell’indagine. Per i greci invece il pensiero geometrico è visivo, realistico e non può essere astratto, manca nella filosofia greca il concetto di ESPERIMENTO SISTEMATICO CONTROLLATO. La tecnologia non fu collocata alla spiegazione razionale e questo può essere spiegato per l’interesse al lato qualitativo degli oggetti già esistenti e non sperimentale e costruttivo; il carattere delle arti nel mondo antico e nel medioevo è transitorio e strumentale. A partire dal V-VI secolo d.C. si definisce e consolida un vero e proprio sistema delle arti liberali e meccaniche che sono una COPPIA OPPOSITIVA appunto di THEOREÌN  (teoria) e POIEIN (fare, creare umano) – tra EPISTEME (aspetto rigoroso e teorico della conoscenza) e TECHNE’ (arte del saper fare) – tra SUPERIORE e INFERIORE tra conoscere e fare.  Nel Medioevo l’estetica è ancora incorporata nella metafisica; solo a partire dal RINASCIMENTO con la crisi delle organizzazioni artigianali medioevali, con la rivalutazione dell’antichità classica, con il riconoscimento dei fondamenti scientifici delle arti figurative si inizia a delineare la figura moderna dell’ARTISTA. Si comincia a SCORPORARE la pittura, la scultura e l’architettura dal corpo delle arti meccaniche riconoscendone maggiore e significativo valore intellettuale; pur mantenendo un aspetto FABBRILE e OPERATIVO prevale ora la concettualità. Osserva lo storico dell’arte ANTHONY BLUNT che per la figura poliedrica rinascimentale di LEON BATTISTA ALBERTI il disegno è l’anello di congiunzione tra architettura e matematica. La bellezza per Alberti è accordo e

High Gospel di Alberto Tadiello
armonia delle parti in relazione a un tutto al quale esse sono legate; un tutto naturale fatto di armonia, simmetria e proporzione. Anche Leonardo da Vinci stacca la pittura dalle Arti Meccaniche perché per dipingere serve la conoscenza della matematica, dell’ottica, dell’anatomia e molto altro. La rappresentazione statica e tridimensionale della realtà inizia in Grecia e culmina nel Rinascimento. Solo nel XVIII SECOLO si assiste al costruirsi e consolidarsi in Europa di 2 fenomeni complementari: l’apertura in filosofia dei territori del bello e l’imporsi di una nozione diffusa di ARTE BELLA.  Il sorgere e lo svilupparsi dell’estetica si presenta come un evento legato al passaggio dal MONDO DEL PRESSAPPOCO all’UNIVERSO DELLA PRECISIONE. Da questo momento c’è una separazione tra oggetto fisico della scienza e oggetto dell’esperienza ordinaria. C’è un’analisi matematizzabile di tempo, massa, moto e spazio. Questa rivoluzione riduce la realtà degli oggetti a tali proprietà matematiche e meccaniche. Si fa più netto il divorzio tra senso comune e contenuto della conoscenza. Nasce il dualismo tra logica ed estetica mentre tramonta la visione prettamente qualitativa. Questo dà impulso alla ricerca sperimentale svincolando gli oggetti dalla loro visione “finale” e li mostra come PROBLEMI D’INDAGINE modificando costumi e pregiudizi. Per CARTESIO esiste un DUALISMO EPISTEMOLOGICO e METAFISICO tra corpo e anima. Il metodo della matematica e della geometria costituiscono la realtà per eccellenza. Il PENSIERO è ASSOLUTO ed è l’ESSEREche è distinto dal corpo. Senza le uniformità la scienza sarebbe impossibile; allo stesso tempo se esistessero solo le uniformità del pensiero e della conoscenza sarebbe priva di significato. Per Edmund HUSSERL, Cartesio confonde il mondo e il pensiero. L’estetica è la teorizzazione filosofica dell’arte bella. Gran parte della filosofia dell’arte dal '700 in poi trae le sue motivazioni fondamentali dalla distinzione e opposizione tra LOGICA SCIENTIFICA e PROSPETTIVA ESTETICA; questo scaturisce in gran parte dalla necessità di rinaturalizzare gli oggetti, di restituire ai fenomeni profondità, spessore, calore, caratteristiche che il nuovo metodo scientifico sostiene essere ININFLUENTI per determinare la realtà. Altrettanto fondamentale è l’avvento di una frattura tra logica ed etica in quanto quello che accade con la rivoluzione scientifica è una generale divaricazione tra dimensione del fatto dimensione del valore tra OGGETTIVITA’ E SOGGETTIVITA’; è questo per DEWEY il problema decisivo del pensiero moderno. Il tutto può essere sintetizzato: nella civiltà antica e medioevale e anche nella scienza classica prevale una forma di organicismo culturale, la riflessione e il pensiero mostrano un forte legame tra conoscenza e senso comune, interiorità ed esteriorità, tra verità assoluta e sensi; il sapere è contrassegnato da un forte naturalismo. La NUOVA SCIENZA trascura deliberatamente i caratteri e i significati immediati dei fenomeni trasformando gli eventi negli oggetti propri della conoscenza. L’OGGETTO della conoscenza è la REALTA’ per eccellenza. Le qualità vengono espulse dagli oggetti della scienza e vengono messe in un REGNO PSICOLOGICO contrapposto agli oggetti della fisica. Questo potenziamento delle proprietà e delle relazioni matematiche al rango di UNICHE strutture reali dell’essere provoca l’oscuramento della natura STRUMENTALE e METODOLOGICA di quelle relazioni e la perdita del senso del loro radicamento ultimo nel mondo della vita e delle qualità esistenziali. Questo va combattuto perché tutte le forme da  cui deriva il pensiero scientifico non sono negative, illusorie, insignificanti, da negare.  Bisogna cercare di intraprendere un risarcimento del CONCETTO DI ESPERIENZA, riprendere il pragmatismo Deweyano e fenomenologia Husserliana che hanno condotto, indipendentemente, una battaglia contro dualismo metafisico, contro la tendenza a distinguere nettamente intelletto da sensibile, fatto da valore, interiorità ed esteriorità.



In Rifare la filosofia del 1920 Dewey analizza la sfera qualitativa-sentimentale, cioè estetica in senso largo, che è alla base della filosofia. L’uomo vive in un mondo fatto di sogni e simboli (la fiamma ad esempio rappresenta il focolare, la casa). Osserva come la memoria dell’uomo si forma grazie ad esperienze emotive e non intellettuali. Sono le emozioni che formano il nostro io, e il nostro essere si forma attraverso l’ESPERIENZA che per Dewey è vita, storia e cultura. L’esperienza è precaria, fugace, molteplice e in divenire e l’uomo mostra il tentativo di stabilizzarla di volta in volta. Dewey introduce il concetto di metodo empirico in filosofia. Per il filosofo americano la filosofia è trovare leggi e uniformità meccaniche che rendono il mondo familiare; trovare il fine che rende un’esperienza perfetta, pienamente soddisfacente; il desiderio di fissare e rendere stabili gli eventi. La sua METAFISICA NATURALISTICA sostiene che l’esperienza è un mondo di eventi naturali inclusa la riflessione su di essi che quindi è essa stessa naturale. L’EVENTO è un’esperienza estetica che si verifica prima che la logica ne faccia l’analisi. La logica vuole rendere razionale l’evento irrazionale, il sensibile. Il NATURALISMO EMPIRICO di D. trova nell’arte la più compiuta incorporazione di forze e processi naturali. Uno degli obiettivi del METODO EMPIRICO è mostrare l’inaffidabilità di teorie che separano uomo e natura. L’esperienza è sia della natura che nella natura; ciò che incontriamo quando facciamo esperienza è la natura. I tratti estetici e morali dell’esperienza possono rivelarci aspetti della struttura meccanica della natura stessa.  Vediamo come l’ESPERIENZA PRIMARIA, sensibile, (condannata da altre filosofie) ha un impatto immediato col mondo mentre quella SECONDARIA, logica, sia riflessa e dovuta all’elaborazione. Per Dewey è un punto di partenza e di arrivo di ogni processo; l’esperienza è CIO’ che l’uomo agisce, subisce, gode sia il MODO in cui agisce e subisce l’esperienza. Un errore diffuso, sostiene, è la
Performance Danilo De Mitri
tendenza a identificare la realtà con l’oggetto della conoscenza. L’errore è confondere oggetti con concetti fatti su di essi unificando REALTA’ EFFETTIVA (LOGICA) e CONOSCENZA (EMPIRICA). Il metodo empirico si propone di esplicitare la scelta che è alla base di ogni naturalizzazione e sostantificazione. I riti e i culti religiosi nascono dall’incertezza, l’instabilità e la precarietà. La filosofia greca privilegia eterno a temporale, stabilità a mutamento dimenticando che ne sono il risultato.  Nella metafisica naturalistica di Dewey l’incompiutezza e la precarietà hanno la stessa importanza della stabilità e della compiutezza. Ciò che è incompiuto, precario è importante quanto ciò che è compiuto e stabile. Forse ARISTOTELE fu il più vicino ad una forma di metafisica naturalistica; nella RETORICA in effetti compaiono forme non EPISTEMICHE (non certe) di SILLOGISMO (ragionamento concatenato)  forme non certe di ragionamenti basati su probabilità e possibilità; è anche autore di una poetica basata sulla VEROSIMIGLIANZA e contenente una teoria della metafora come strumento conoscitivo che ci consente di cogliere le differenze fra le cose più che le identità, il movimento più che la stabilità, la singolarità più che la loro generalità. Per DEWEY realtà e apparenza sono mere classificazioni, il mondo dell’esistenza non conosce dislivelli o distinzioni, ma fusioni tra certo e incerto. Precarietà e imperfezione attivano il desiderio, il desiderio di stabilità e perfezione cioè qualcosa che ancora non c’è, che non abbiamo, che deve ancora essere. Gli oggetti estetici hanno una qualità soddisfacente, sono gratuiti e possono essere conquistati senza sforzo. L’uomo ha cercato di trasformare le attività primarie in artistiche e l’esperienza estetica in ogni esperienza per renderla piacevole, per consumarla, averla, possederla, goderla. Prendiamo ad esempio l’attività della caccia. La caccia è un atto necessario per il godimento finale che è il PASTO; ma l’uomo ha l’immaginazione e cerca di trasformare tutto in un gioco; usando proprio l’immaginazione trasforma in estetico l’atto della caccia che diventa essa stessa godimento. Gli oggetti dell’immaginazione sfuggono alla realtà naturale. In ogni singolo evento esiste qualcosa di irriducibile e immediato. Il materialismo e l’idealismo condividono la stessa metafisica che trascura tali qualità immediate in nome di relazioni essenziali e di uno spirito di sistema che fissa in quadri stabili qualità dinamiche, molteplici, indefinibili ... ATTRAVERSO il SIMBOLO, che domina l'arte e la società primitiva, che diventa non solo segnale, ma incorpora i SENSI. I simboli sono sostituti e condensati di eventi reali e acquistano più senso degli oggetti rappresentati. Per tutti gli eventi esiste sempre qualcosa di totalmente immediato, singolare, unico. L’IMMEDIATEZZA dell’esistenza è ineffabile, ma non mistica, straordinaria, incomparabile, indescrivibile con parole semplici. Quindi KANTIANAMENTE questa immediatezza riflette la possibilità dell’apparire delle cose. La CONOSCENZA non ha alcun
Marina Abramovic THE KITCHEN V Performance
interesse per l’immediatezza esistenziale. Se volessimo standardizzare e quindi togliere l’immediatezza dall’esperienza non saremmo in grado di farlo; bisognerebbe avere un idea per ogni possibilità e questo manterrebbe solo un piano sensibile e mai logico delle idee generali, tuttavia le cose possono solo essere INDICATE e non DEFINITE. Partire dal carattere fondamentale della precarietà su cui si basa qualitativamente l’esperienza. La sensazione che percepiamo da un oggetto è piacevole o spiacevole ed è adeguata all’immediatezza con cui le cose si manifestano a noi. La coscienza non è solamente razionalità, ma si sostanzia di qualità immediate come sensazioni ed emozioni. Senza questo i contenuti della conoscenza sarebbero solo spettri algebrici. Le qualità immediate, che la tradizione moderna ha definito SECONDARIE, contengono tutto ciò che ha valore e significato. I Greci scorporano l’atteggiamento estetico dall’esperienza dell’arte e pongono questa su un piano inferiore rispetto alla scienza. Per loro il godimento è quello intellettuale, razionale, legato alla sapienza. Platone svaluta il piacere sensibile in quanto desiderio che implica un movimento, ossia una non stabilità;  al contrario esalta la stabile contemplazione delle forme intellegibili.  Per DEWEY è criticabile la pretesa della filosofia di costituire un ordine superiore rispetto all’arte e creare una divaricazione tra mutamento e stabilità con trasferimento del godimento verso compiutezza e perfezione della metafisica classica. Si radicò convinzione che alla compiutezza e perfezione, con cui si definì la metafisica classica, dovessero corrispondere oggetti compiuti e perfetti. Gli OGGETTI sono i FINI ultimi non le forme ultime della realtà. L’incertezza, la precarietà caratterizzano il regno qualitativo dell’esperienza ed è da qui che ha origine tutto ciò che ha valore e significato. Il linguaggio come sottolinea Paolo Marolda non contribuisce alla costruzione dell’esperienza, ma la rispecchia semplicemente. La metafisica naturalistica quindi sostiene che:
A- l'esperienza è imprevedibile e in divenire variabile
B- la natura non è insieme stabile di oggetti definiti una volta per tutti, ma il godimento
C- non esiste un soggetto per il quale esistono a priori le cose sottratte al divenire ed alla contingenza estetica in cui tutte sono immerse.
Per Dewey la coscienza va cercata lungo le linee di frattura e di intersezione della nostra esperienza quotidiana. L’uomo è integrato nella natura, in natura non ci sono distinzioni tra quantità e qualità, tra bisogni e contingenza, ma ritmo che “lavora” le cose. L’uomo trasforma causa - effetto in mezzo – fine. L’arte è la possibilità dell’uomo di incorporare nella materia un suo ideale. Nell’esperienza estetica i valori sensibili acquistano un significato finale; coincide con l’esperienza immediata delle cose. In essa c’è sempre qualcosa che ci colpisce, di imprevisto, di eccessivo che spicca, che richiama la nostra attenzione.  L’OGGETTO ESTETICO (CONOSCENZA SENSIBILE) è percepito nei suoi tratti sensibili-immediati, l’OGGETTO LOGICO nei suoi tratti razionali-universali (CONOSCENZA RAZIONALE). L’esperienza nella sua forma più perfetta coincide con l’opera d’arte. Per i greci l’esperienza è l’accumulo di saggezza pratica, l’intreccio di fare e sapere, saper fare qualcosa a regola d’arte. L’esperienza era quindi contrapposta alla scienza, veniva considerata meno importante perché legata ai livelli inferiori della natura corrotti dal caso e dal mutamento. L’arte in quanto esperienza rifletteva aspetti imperfetti della natura e quindi era considerata sinonimo di bisogno, mancanza, incompiutezza. Per i MODERNI la scienza è l’unica espressione della natura; l’arte è un arbitraria aggiunta alla natura e mentre viene disprezzata, in quanto esperienza, viene elogiata in quanto arte bella e creativa. C’è la separazione tra arte e fare pratico, tra arte e creatività e bellezza. Il carattere ideale dell’arte è il risultato di una scelta, di un’organizzazione dell’esperienza, una chiarificazione, intensificazione e concentrazione dell’esperienza; l’arte è legata sia alla pratica sia alla teoria. La dimensione estetica è connessa alla visione o all'ascolto; l’arte è il culmine supremo della natura, fatta di significati acquisiti e goduti. Per DEWEY si ha una vera esperienza solo quando essa è significativa, e sono significative le esperienze solo quando hanno come risultato una chiara visione o il godimento di una percezione. Per KANT il presupposto è la libertà di poter scegliere, essere liberi di dover scegliere il bene o il male, DEVI quindi PUOI. Se devi scegliere o il bene o il male significa che puoi farlo, puoi scegliere perché sei libero. Nella TERZA CRITICA Kant affronta un discorso sul bello che definisce "con misura" a differenza del sublime che è smisurato.  Il bello è indipendente dalla morale. Cade il vecchio concetto, retaggio della Chiesa, per cui
Carla Paiolo - Performance in Venice - photo Daniele Vita
Bello è necessariamente Buono e Brutto è necessariamente Cattivo. L’arte diventa la capacità di collegare instabile e durevole, vago e certo, singolare e universale. Per Dewey si ha arte in ogni esperienza in cui mezzi e scopi, processo e prodotto sono presenti contemporaneamente. L’oggetto artistico deve avere un carattere indefinitivamente strumentale e questa strumentalità deve rinnovarsi sempre in nuovi eventi soddisfacenti. Se fosse piattamente insignificante perderebbe la sua attrazione estetica. L’interazione tra SOGGETTO e OGGETTO DELL’ARTE è indeterminata e termina con un mutuo adattamento dell’individuo e dell’oggetto. Un oggetto CONSUMATORIO deve possedere una strumentalità che si rinnova sempre. Ogni OGGETTO che produce la percezione di un bene immediato è artistico. Tutte le attività intelligenti dell’uomo che si manifestano nella scienza, nelle belle arti o nelle relazioni sociali, hanno come compito quello di cambiare i legami CASUALI in una CONNESSIONE di MEZZI e conseguenze cioè SIGNIFICATI. Nell’arte tutto è comune tra mezzi e fini. Se questo avviene in modo compiuto si ha ARTE. Riassumendo:
A- Il pensiero umano tende a trasformare le casualità e le disorganicità in relazioni interne e significative
B- Tutto ciò che ha un senso coincide con la capacità di creare connessione tra mezzi e fini
C- Quando ci accorgiamo che l’esperienza che stiamo vivendo è per noi significativa, è un’esperienza artistica i cui mezzi e fini sono quasi indistinguibili.
La consapevolezza dei significati duraturi è più di un godimento passeggero o un fine. L’idea diventa arte e opera d’arte. Il fine costituisce la tendenza incessante verso il significato. Tale processo è ciò che Dewey chiama ARTE e il suo prodotto OPERA D’ARTE, quindi bisogna essere consapevoli dei significati dell’esperienza. Solo nella dimensione umana, in cui SENSIBILITA’ e INTELLEGIBILITA’ stanno insieme armonicamente, riusciamo a sentire i nostri impulsi, i nostri desideri come oggetti significativi. Noi non dobbiamo percepire in un’opera un senso specifico-determinato, un fine particolare, ma il senso delle tendenze in divenire che ci giunge dall’idea di completezza, esaustività, forma, misura, globalità. Per Dewey non esiste una natura tale per cui alcuni oggetti sono belli, altri buoni, altri veri; l’esperienza è indifferenziata, è tutto senza distinzioni di natura. Le differenze dipendono da come ci rapportiamo operativamente alle cose.



L’esperienza reale (e non quella possibile) ha per Dewey una semantica molto ampia, tale da assorbire il significato di vita, morte, storia, natura. L’esperienza comprende ciò che gli uomini fanno e soffrono, ciò che ricercano, amano, credono e sopportano ed anche il MODO in cui agiscono operano, subiscono l’azione esterna, cioè i PROCESSI DELL’ESPERIRE. L’esperienza è un’entità a due facce che include IO-MONDO, NATURA-UOMO, SOGGETTIVITA’-OGGETTIVITA’. Per la FILOSOFIA DELL’ESPERIENZA l’esperienza è sia scienza, perché descrive fedelmente il movimento del pensiero, sia arte in quanto escogita i mezzi di cui dovremmo avvalerci. La coscienza indica sia le qualità sensibili-immediate, sia il senso degli eventi, quindi è il luogo dove acquistano significato gli eventi, di cui si compongono le nostre esperienze, eventi che sono per un momento completi e sensati. Dall’analisi di ARTE COME ESPERIENZA, in cui parla della tesi relativa all’esteticità del pensiero riflesso, emerge lapidaria la frase: “IL PENSIERO E’ ARTE IN MODO EMINENTE”. L’esteticità è illuminazione di senso che viene proiettata all’indietro sulle cose dal significato che da queste è stato generato. Il pensiero stesso è un’illuminazione, ma può anche essere nebbia che nasconde, come l’idealismo di ogni tempo ha fatto. La prospettiva estetica del pensiero sostiene che la conoscenza nasce e si sviluppa su presupposti qualitativi, empirico-sensibili. Ogni fase di sviluppo del pensiero è una conclusione significativa di ciò che facciamo. Il SIGNIFICATO è la conclusione di un’indagine coronata da successo. L’esteticità del pensiero coincide allora con il piacere estetico che accompagna la consapevolezza relativa alla compiutezza, cioè la PER-FEZIONE nel senso di PERFICERE (ciò che è giunto a conclusione). L’arte innesta possibilità nuove alle cose, riplasmandole in contesti nuovi. Per Dewey è artistico tutto ciò che è umano. Anche la scienza è fatta dall’uomo e per l’uomo e deve essere reinserita nel circolo vitale dell’esperienza estetica e morale. Contemporaneamente bisogna abolire distinzione tra arti legate ai mezzi e arti legate ai fini in se. L’esperienza estetica è un’esperienza consumatoria in cui una situazione viene considerata come un tutto; kantianamente potremmo dire una TOTALITA’ INTERCONNESSA. Per Dewey la storia dell’esperienza coincide con lo sviluppo delle arti. In tale prospettiva la scienza è semplicemente uno sviluppo differenziato all’interno delle arti. La componente estetica è presente in ogni tipo di esperienza; la peculiarità è che in un’esperienza artistico-estetica si verifica l’ENFATIZZAZIONE DEL MOMENTO FRUITIVO-CONSUMATORIO, in cui qualcosa di particolare assume significato universale. L’esperienza rappresenta la conclusione significativa degli eventi naturali e umani, la finalità. È un’interdipendenza del fare (artistico) e del patire (fruizione). L’opera d’arte è allora un contingente che aspira al necessario. Ogni oggetto, ogni evento sono speciali e unici, una parte in un contesto. Dopo che abbiamo contestualizzato l’oggetto e ci siamo posti in sintonia o distonia con esso, lo consideriamo CONOSCITIVO. Non va però ritenuto che esistono due tipologie separate di conoscenza una IMMEDIATA (estetica) e una MEDIATA (logica). La qualità per Dewey è ciò che pervade l’esperienza e dà il tono a tutti gli elementi di una situazione. La qualità di quella particolare situazione non è mai generale, ma singolare, anzi, talmente unica da non poter essere espressa in parole. Per comprenderla dobbiamo tenere insieme sentire e pensare. Un problema va sia sentito sia enunciato; questi sono due momenti diversi all’interno dello stesso processo. Emilio Garroni in “Estetica uno sguardo attraverso” sostiene che l’estetica non è una scienza del bello, teoria o sistema delle arti belle, ma filosofia generale. La metafora che meglio esprime viene presa da Garroni in “Ricerche filosofiche” di Wittgenstain: il guardare attraverso. Essendo immersi nell’esperienza non possiamo guardarla dall’esterno; è, come direbbe Dewey una “situazione onnipervadente” dell’esperienza. Noi possiamo comprendere l’esperienza solo quando, stando all’interno, tentiamo di salire in superficie. L’estetica è da questo punto un “guardare-attraverso nel guardare”. Il compito di una teoria generale dell’arte sarà quello di ricostruire la continuità tra le opere d’arte da una parte e i fatti, le azioni, le passioni quotidiane dall’altra. La scissione tra ARTE e VITA (ma anche tra creatori d’arte e spettatori) è oggi visibile nei musei. Il museo, istituzionalizzando l’arte, ne delimita  lo spazio separandolo dall’esperienza quotidiana. Dewey prende la distanze da chi si vanta di mantenere e sviluppare la separazione dell’arte dagli oggetti dell’esperienza ordinaria. Le ragioni per cui l’arte è stata collocata su un piedistallo fuori dal mondo sono da collegare ad una sorta di sacro timore per tutto ciò che è ideale e spirituale e la correlativa avversione per tutto ciò che è corporeo, sensibile, materiale.  Nel libro “Come si forma un’esperienza” propone una differenza tra esperienze in genere e singola esperienza. L’esperienza, che per poter essere definita tale deve giungere a compimento, è una totalità indifferenziata in movimento in cui siamo sempre immersi, è un continuum in cui tutto scorre; se però ci sono delle fratture che ostacolano il normale fluire, se ci sono conflitto e resistenza che mettono in questione aspetti dell’io e del mondo, questi aspetti qualificheranno l’esperienza con emozioni e concetti che chiamiamo di solito INTENTO CONSAPEVOLE.  Ciò che differenzia un’esperienza e la fa “UNA” è la qualità che pervade l’intera esperienza nonostante il variare delle parti costitutive di essa.  La conclusione è la perfezione di un movimento; anche un’esperienza di pensiero ha la propria qualità estetica, cambia il materiale messo in opera: qualitativo/immediato (ARTISTICO), simbolico/mediato (INTELLETTUALE). Per Dewey nessuna esperienza di nessuna specie costituisce un’unità se non ha una qualità estetica, il cui collante è di carattere emotivo. L’emozione è la forza che fa muovere e che cementa, sceglie e tinge del suo colore quello che ha scelto dando così unità a materiali esteriormente disparati e dissimili. In tal modo infonde unità alle e attraverso le varie parti di un’esperienza. Quando l’unità è di questo tipo l’esperienza ha carattere estetico. Non è escluso il pensiero! Per Dewey non ci sono emozioni senza pensieri e pensieri senza emozioni. L’idea che un artista si lasci solo ispirare è ridicola, sarebbe  come se creasse senza sapere cosa fa. Egli pensa con intensità e penetrazione tanto quanto un ricercatore. L’esperienza artistica ha come suoi elementi fondamentali AZIONE e PASSIONE che devono stare in una relazione d’equilibrio. È questa relazione che dà significato all’esperienza artistico-estetica e afferrarla è obbiettivo dell’intelligenza. Nessun ragionamento può raggiungere la verità senza la fantasia e ogni esperienza artistica contiene un’indispensabile componente intellettuale-conoscitiva. La specificità dell’arte è una specificità EMPIRICO-TECNICA (SEMANTICA per della Volpe) che dipende dal modo con cui il sensibile viene organizzato in un tutto coerente, significativo, che richiede la presenza dell’intelletto. L’organicità di cui parla Dewey è di natura tecnica; dipende dai materiali usati, dai mezzi tecnici; c’è dunque una specificità dei diversi mezzi espressivi che condiziona e orienta il fare dell’artista. Gli oggetti d’arte sono espressi, sono un linguaggio o meglio, molti linguaggi. Ogni arte è una particolare forma linguistica che rappresenta uno specifico nodo di intervenire sulla materia. Il materiale appartiene al mondo dell’esperienza comune, la forma, il modo di organizzare tale materiale appartiene all’artista. La qualità di un’opera d’arte è sui generis perché il materiale generico viene trasformato in una sostanza nuova dalla maniera in cui viene trattato. La bellezza indica un’emozione caratteristica e denota la totale qualità estetica di un’esperienza. È il movimento della materia giunto al suo culmine, una fusione di materia e forma, senso e pensiero. Attraverso l’arte, significati di oggetti che altrimenti sono muti, indeterminati, contrastanti, si chiariscono mediante la creazione di una nuova esperienza. La prima caratteristica generale del mondo circostante, che rende possibile la produzione della forma artistica è il ritmo. Il ritmo, lo scorrere il fluire, il battere di un cuore che condiziona tutta la vita già dallo sviluppo embrionale ed è alla base di ogni organismo vivente … i ritmi naturali di alba, tramonto, giorno, notte, Sole, pioggia sono condizioni ritmiche dell’esistenza. L’uomo gradualmente assimilò i ritmi della natura per dare ordine e senso al rapporto con essa, cioè alle nostre diverse esperienze. L’uomo comincia a imporre un ritmo ai mutamenti nei quali la scansione non appare naturalmente. Il ritmo diventa artificiale perché solo organizzando ritmicamente le nostre esperienze queste possono acquistare una forma coerente e ordinata. I ritmi furono SUBITI e RIPRODOTTI generando il senso della vita come dramma, i tempi della natura vennero cioè impiegati come modelli esemplari per introdurre un ordine evidente nelle osservazioni incerte e indeterminate dell’uomo.

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