lunedì 1 giugno 2020

DaD

È da qualche settimana che voglio farlo ed oggi, ho finalmente trovato il tempo per raccontarvi la mia personale esperienza con la DaD, la famigerata Didattica a Distanza.
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Sono le 11.50 del giorno 4 Marzo 2020 e da giorni si vocifera di una possibile e imminente chiusura delle scuole. Non è un mercoledì qualunque, c'è tensione dell'aria e non mi stupisco quando ci viene detto di non far uscire nessuno dall'aula. Riesco a trattenere a fatica gli alunni in classe durante la ricreazione con raccomandazioni rasserenanti, ma noi docenti sappiamo che c'è qualcosa che non va. Non è la solita ordinanza da nevicata, che ci farà stare a casa un paio di giorni, è qualcosa di nuovo e preoccupante. I ragazzi hanno i volti smarriti, i miei colleghi sono atterriti. Non si può uscire, è pericoloso! Metto in campo tutta la mia calma per tranquillizzare gli alunni e fornire loro le ultime istruzioni, per potersi collegare l'indomani sul portale per la didattica a distanza, ma è un attimo; poco dopo suona la campanella ed escono tutti di corsa, increduli e senza quasi salutare, non sapendo per quanto tempo la scuola resterà chiusa. Lascio la lavagna sporca di gesso, forse un organigramma non completo, metto al suo posto la sedia e mi avvio, come stesse finendo il mondo. Arrivato a casa inizio subito ad armeggiare per organizzare la DaD e non è il solito video online o l'archivio condiviso dove consentire recuperi o approfondimenti, è un nuovo ambiente, senza materia, senza banchi che profumano di gomma da cancellare e pavimenti costellati di pezzetti di carta, ma pur sempre un'aula, nella quale i miei alunni meravigliosi si collegano da subito. Ci sentiamo con i colleghi, facciamo videochiamate, ci confrontiamo e confortiamo, siamo tutti disorientati, cerchiamo di sdrammatizzare, parliamo di capelli ingestibili e barattoli di Nutella nascosti nel cassetto. Nel frattempo le lezioni proseguono e nel giro di un paio di settimane i ragazzi sono tutti online, inizialmente più per necessità di informazioni e curiosità che per altro, ma tanto basta per trasformare di lì a poco tutto, non negativamente, ma in modo nuovo, non come si trattasse del surrogato di un cibo più buono, ma proprio di un'altra ricetta, forse meno profumata e meno saporita, ma comunque nutriente. Inizio a lavorare 24 h su 24, mentre continuo ad aggiornarmi e a studiare, fornendo supporto a tutti gli alunni e ai colleghi. Molto stress, tanto, troppo, ma sento che è importante, importantissimo. È fondamentale mantenere un rapporto con i discenti, con le loro famiglie, con la vita che conoscevano. Realizzo videotutorial e organizzo videolezioni e i miei alunni sono tutti lì, fragili, piccoli, bisognosi di conforto. Hanno gettato la maschera dell'adolescenza e dietro quei frugoletti che a scuola erano talvolta impertinenti, emerge la loro fragilità e uno smisurato bisogno di normalità. Passano i giorni e scopro dalle bozze ministeriali che la mia classe di concorso è ad esaurimento, non so se potrò insegnare ancora ai miei ragazzi l'anno successivo, mi demoralizzo ma continuo per tutelarli e proseguo senza sosta, cercando di trasmettere quanta più serenità possibile, in questo “non luogo” dove scambiare una parola, dove dare conforto, dove ribadire l'importanza del rispetto per le regole è spesso un'impresa titanica. Microfoni che gracchiano, videocamere che ballano, connessioni che sembrano possedere una vita propria, trasformano alcune lezioni in concerti futuristi mentre gli alunni chiedono: "Professo', ma ritorneremo a scuola?" "Questa è già la scuola ragazzi! In questo momento sfrutta le tecnologie informatiche, quelle che vi spiego dall'inizio dell'anno! Vedete quanto è importante studiare? Se non avessimo affrontato questi argomenti, oggi non saremmo qui a parlare!" "E' vero ... ma io voglio stare con i miei compagni, con i professori! Quando torneremo?" "Non lo so ragazzi, spero presto!" Quegli occhi talvolta assonnati, talvolta gonfi di lacrime, quelle videocamere all'occorrenza spente perché forse attivate in pigiama, mi hanno messo di fronte ad una generazione privata, seppur per necessità, seppur per un periodo temporaneo e che si spera non torni mai più, della gioia di muoversi e conoscere il mondo, dell'alterità, degli amici. Nelle prime settimane i ragazzi non sono mai usciti, la spesa è compito dei genitori e loro non possono muoversi; hanno paura, dormono quasi tutto il giorno, mangiano schifezze e la situazione mi allarma, c'è bisogno di noi insegnanti, di tutta la nostra empatia e di tutto il conforto possibile, per ricordare che noi ci siamo, siamo lì per loro e fuori c'è il futuro e il mondo pronto ad accoglierli, ed è un mondo meraviglioso, tutto da esplorare, gestito da istituzioni delle quali fidarsi sempre. Questo è quello che ho cercato di offrire e quegli incontri settimanali, necessari per conoscere le nuove tecnologie e trasformare le abilità in competenze, si sono rivelati importantissimi fili di Arianna, briciole di pane di Pollicino, da seguire per "riveder le stelle". No, non sono solo parole sdolcinate, ma il ricordo di un momento di condivisione e solidarietà, un frammento di umanità e di calore che solo attraverso la scuola sono stato in grado di trasmettere. Trascorrono le settimane e il nuovo ingranaggio comincia a funzionare, ma tra i ragazzi si diffonde la voce che nessuno verrà bocciato; mi informo, la notizia è trapelata, avrei immaginato di sentirne parlarne il 7 giugno e comincio a temere il totale abbandono, ma loro sono ancora lì, puntuali per i nostri incontri settimanali. Il tempo passa, c'è confusione le notizie si accavallano, diventa difficile districarsi tra comunicati e voci di corridoio; qualche ragazzo teme la bocciatura, qualcuno i recuperi, noi ci ritroviamo a compilare rimodulazioni e nuovi moduli mai usati, ma i miei alunni sono sempre lì, pronti per i nostri incontri settimanali. Settembre è dietro le porte e nessuno di noi sa con esattezza cosa ci riserverà il futuro. Forse, speriamo, tutto tornerà come prima, ma quello che ha scoperchiato questa pandemia, è un sistema trascurato, con infrastrutture spesso inadeguate, vecchie, con aule piccole e talvolta fatiscenti, dove i dirigenti fanno i salti mortali centellinando ogni spicciolo per apportare migliorie e acquistare materiali; un sistema che dovrebbe essere la base degli investimenti di una società e invece è abbandonato alla buona volontà degli addetti ai lavori; ci siamo abituati a tutto questo, invece dovremmo indignarci, perché servono molti più soldi, servono lavori e lavoro, perché l'emergenza ha aggravato le diseguaglianze ed esteso i confini della povertà e questo ha messo ancora più a rischio per i ragazzi, il diritto a una vita dignitosa e piena di opportunità e di istruzione, che è l'unica vera arma per interrompere la trasmissione della povertà da una generazione all'altra.

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