mercoledì 4 febbraio 2015

Benjamin e il limite della riproducibilità

Sarò rapido, non ho tempo e interesse per scrivere lungaggini; sto studiando. Non mi interessa neanche essere capito o condiviso. Lo dico perché è una considerazione che ritengo interessante, visto che vivo in questa società! Arrivo al nocciolo! La copia della copia ok l'abbiamo capito, l'aura in realtà dipende anche e soprattutto dal contesto in cui l'opera viene fruita, dal momento, dalla predisposizione all'ascolto, allo stare al gioco dell'artista, all'illudersi che quello che stiamo vedendo sia realmente l'originale e non la copia (pensiamo alla copia in Piazza della Signoria a Firenze del David e alle innumerevoli fotografie e allo stupore suscitato sul turista inconsapevole); anche la riproducibilità è "pura" illusione. Puoi minare il concetto di capolavoro, ma xilografia, litografia, serigrafia e stampa anche digitale non daranno MAI una copia perfetta o un seriale perfetto e riproducibile all'infinito; se non da ultima l'usura dei supporti sulla matrice, c'è sempre l'imprevedibilità del macchinario creato dall'uomo, della carta creata dall'uomo, ma condizionata dalla disposizione casuale della cellulosa ad opera della temperatura, del tipo di legno, dell'acqua, così per la stoffa, sia fatta di fibra naturale sia di alchemiche fibre sintetiche. Lo sbaffo, l'inceppamento, la microfrattura sono sempre presenti anche in un processo realizzato da una macchina concepita, realizzata e azionata dall'uomo. Se prendiamo un microscopio (che potrebbe non essere privo di difetti) ed analizziamo, non esisteranno mai due stampe uguali, ma sempre copie di un originale che diventa prodotto del surrogato per la massa! Inutile dare alla fotografia un ruolo che merita solo in parte. E' stata fondamentale, ma non è lo step definitivo! Il passaggio successivo alla fotoimpressione analogica è la "creazione" digitale! L'unica forma di opera riproducibile è solo questa, composta esclusivamente da impulsi che restituiscono sempre lo stato di nero e bianco, luce e buio, acceso e spento, zero e uno! L'unica forma d'arte che mina al concetto di capolavoro è quindi quella digitale nella sua sequenza numerica, nella sua lista di programmazione, nemmeno riprodotta su un monitor, che può in effetti mostrare variazioni di colore rispetto al monitor di partenza. Quindi è l'idea trasformata in programma, o meglio ancora, l'opera digitale creata in digitale, nemmeno dipinta o fotografata e poi digitalizzata, ma nativamente digitale. Per raggiungere lo stato di perfezione concettuale dovrebbe nascere direttamente in codice macchina. Allora si! Detto che questo renderebbe il tutto molto difficile, se non impossibile, diamo per assunto che ad esempio, l'idea è quella di immagini statiche o in movimento, suoni o rumori senza supporto alcuno, diffusi nella rete, riprodotti all'infinito su innumerevoli server sparsi nel mondo! Questo è esente da vizi e deformazioni che, seppur infinitesimali, inverano la riproducibilità dell'opera stessa. Ora quello che, togliendo l'aura all'opera d'arte e dandola in pasto ad una sempre più affollata e illusoriamente democratica massa di fruitori d'arte, ci ha voluto far credere che in fondo l'opera d'arte è un'esperienza sensibile individuale, ha tolto il confronto con la mente dell' artista, mente grande e spazioda rappresentata volumetricamente dall'icona della galleria d'arte. Si dice che un'opera viva solo se qualcuno la riconosce.  Questo è la base dell'istituzionalizzazione dell'arte, della cultura, della mercificazione manzoniana di una lattina di vomito putrefatto, ma non l'urgenza del racconto.  All'artista non importa del perché o del per come. Il vero artista crea e la sua opera e la primogenita che lui posiziona e gestisce, non le copie dello stipendio istintivo  e quantitativo.
Marco Brama

Nessun commento:

Posta un commento