sabato 16 luglio 2022

Mala tempora currunt

Gent.mi Avvocati del Tribunale del malato, in questi giorni a causa di un malore improvviso di mio padre ci siamo recati in pronto soccorso dove in codice rosso è rimasto per 3 giorni insieme ad 80 persone in barella, senza la possibilità di vedere e avere il conforto di nessuno. Papà ha visto morire attorno a se molte persone e passare indifferenti gli infermieri in mezzo al delirio generale. Il problema di fondo non sono però gli operatori in sé, piuttosto la carenza strutturale di personale e la scarsità di posti letto. È indecoroso per un paese del G8, che tanto si vanta pubblicamente della presunta qualità della sua sanità, convivere con situazioni così drammatiche che palesano un comparto fondamentale ridotto ad "un'appendice" in peritonite che nessuno cura. Ed è proprio il concetto di cura a non poter trovare compiutezza in una realtà così drammatica. Se è vero che siamo corpo e mente e che queste due sfere si influenzano reciprocamente, in questa dimensione di disagio esse non possono minimamente interagire positivamente. Per non parlare dell'empatia che non è neppure contemplabile quando un medico a rotazione e una manciata di infermieri devono assistere 80 persone in contemporanea. Dovevamo tutelare i più fragili, quelli che un giorno saremo noi, e che cosa stiamo facendo? Forniamo la quarta dose? Questa è la panacea di tutti i mali? Il contesto ci dice inequivocabilmente di no! Indiscutibilmente! La verità è che li lasciamo morire abbandonati in pronto soccorso. Questo è il cambio di paradigma? Questo è l'approccio inclusivo rispettoso delle diversità umane? Dei fragili? Non a casa mia! Non nel paese in cui sono cresciuto! Credo sia imperativo ritornare alla medicina di prossimità, recuperando l'idea di Unità Sanitaria Locale e rimuovere finalmente dal vocabolario istituzionale l'idea di "azienda", perché noi esseri umani, noi pazienti, siamo persone e non clienti, non numeri anonimi di un Database arido e indifferente. E non si pensi che questa problematica riguardi sempre e solo gli altri, perché prima o poi saremo tutti coinvolti in prima persona in situazioni analoghe, perché gli anni passano, non siamo certo immortali e saremo prima o poi tutti un po' disabili, tanto che avremo bisogno dell'altro e questo dovrà essere non solo competente e attento, ma presente per tutti e per ciascuno. Vi ho scritto sperando di spostare un po' i riflettori dal delirio febbricitante di un'agenda interpretata e attuata con modalità novecentesche, sperando di sollecitare almeno una discussione, un confronto che possa giungere anche a coloro che in due anni di pandemia, non sono stati in grado di riportare la sanità pubblica al ruolo che merita, creando pochissimi nuovi posti letto che, forse, potrebbero essere sufficienti solo per una città come Roma e non certo per una nazione intera. 
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