mercoledì 12 ottobre 2016

Il confine tra arte e sciacallaggio

In questi giorni esce al MAXXI una mostra in cui sono esposte immagini che documentano le torture subite dai siriani durante la guerra. Ci sembra un atto intelligente e doveroso, perché l'arte non deve essere necessariamente fine a sé stessa, come accadeva nell'Ottocento, l'epoca che esaltava le antiche rovine e la forza della natura, ma deve scuotere le fondamenta del sistema ... e a volte per farlo deve usare l'unica arma possibile: l'oggettività della fotocamera.  Ben diverso il discorso per la recente mostra itinerante partita da Garbatella sul terremoto di Amatrice, dove le opere testimoniano la forza della natura come nel Romanticismo, non solo non aggiungendo nulla all'arte, ma mostrando un luogo che non ha bisogno di arte, ma di buon senso. Non si tratta di opere testimonianza che evidenziano gli errori umani nel costruire gli edifici, come dire, con dettagli delle pareti sottili o altro, ma opere che raccontano le rovine magnificandole. Le foto di chi ha perso la casa, perché la natura (incontollabile) ha spazzato via tutto, non possono essere equiparate alle foto che testimoniano la violenza umana (da controllare). Il risultato è qualcosa dalla facile presa sul grande pubblico, ma non certo utile al pubblico stesso. Non è arte sociale, ma arte culinaria. Diremmo che alcuni artisti, forse con le migliori intenzioni, potevano risparmiarsela.

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