Come i "nuovi" media stiano cambiando la comunità
e il pubblico è cosa nota, quello che è meno noto è come questa presunta
democratizzazione dal basso stia in realtà ripercorrendo il gioco piramidale
della società capitalistica. In effetti tutto quello che "accade" sul
World Wide Web è oggetto di studi e di trattative economiche legate ad aziende
che hanno rapidamente cambiato il loro modo di fare affari. Oggi tra i beni più
preziosi non annoveriamo più solo petrolio, diamanti e oro, ma i dati. I dati
sensibili e no degli utenti sono diventati oggetto di scambio, indagini di
mercato, studio e condivisione tra grandi aziende che li catalogano in
enormi database che vengono poi riutilizzati nelle campagne elettorali e in
quant'altro. Se da un lato l'istituzionalizzazione delle informazioni sembra
essere svincolata dal vaglio dei "cavalieri" nominati per quello
scopo, dall'altro la controcultura dei blog e dei canali tematici non
convenzionali è essa stessa relegata a ben poca cosa. Un ruolo importantissimo
è quello svolto dai Page Rank tra cui
il più importante è sicuramente quello di Google. La nuova informazione non è
orizzontale come si auspicava e credeva fino a un decennio fa, ma verticale. Più
click hai e più ne avrai! Trovando dei risultati nella prima pagina di un
motore di ricerca, il pigro internauta non si spingerà a cercare (tranne in
alcuni casi) informazioni meno cliccate e presenti nelle pagine successive.
Questo comporta un aumento scalabile incontrollato dei primi classificati che
saranno sempre più forti e presenti. Ora il problema non è l’attendibilità di
un risultato in base a parole specifiche come “Galileo Galilei”, in cui probabilmente si cercano informazioni
sul grande fisico, matematico e astronomo italiano, o “sonda Galilei”, in cui
si cercano informazioni sulla NASA o su Giove, o ancora “scuola Galileo Galilei
Napoli” per accedere al portale dell’Istituto Superiore Partenopeo; il problema
si manifesta chiaro quando si cercano argomenti generici con parole tipo “Cultura”.
I risultati, a parte l’immancabile Wikipedia, sono tutti relativi a istituzioni,
quotidiani, settimanali o enciclopedie
online convenzionali. Quindi cosa intendiamo per “controcultura” quando sono le
CLASSIFICHE popolari a dettare le regole? Eh sì! Perché un enorme difetto è
proprio questo appiattimento popolare. Basta pensare a come i
quotidiani online siano MOLTO diversi da quelli cartacei. Nella trasposizione
digitale dei giornali tradizionali si assiste ad un abbassamento culturale dell’agenda
setting. Si parla di tutto indistintamente. Un argomento come “Il nuovo vestito
di Lady Gaga” può convivere ed essere molto più cliccato di “Strage in
metropolitana, 20 morti”. Questo fenomeno sta determinando un tremendo mistake
tra quello che è il punto di arrivo di una società e quello che è il suo punto
transitorio popolare. Gli influencer
poi non rendono certo la vita facile alla cultura; sono proprio loro che
smaniosi di un lavoro istituzionalizzato abbassano ulteriormente il livello
delle notizie “notiziabili”. Un vero iperdiscount dell’informazione in cui i
discorsi da bar sono amplificati fino a generare l’universo popolar-populistico
dei “Mi piace” su Facebook o delle classificazioni, con tanto di stellette, in
riviste TRAGICAMENTE prese a modello che parlano di Cinema o Musica.
Classificare un film, un lavoro teatrale, un album musicale (ovviamente non
prettamente commerciale ndr) è quanto di più ridicolo si possa fare con l’arte.
L’arte non può essere valutata! Che emerita stronzata post “Warholiana” è quella
di giudicare un quadro come “I girasoli”, un film come “Psiko”, una
composizione come “La sagra della primavera” con le stellette? Ricorda tanto la
puntata dei Simpson in cui ai più bravi venivano appiccicate delle agonizzate
stelline di carta sul volto pur di rendere merito alla bravura.
Certe opere non
sono belle o brutte! Sono più o meno importanti per l’evoluzione della società
(FORSE) e non è nemmeno questo il punto. Un’opera, qualsiasi sia la sua natura,
è il racconto di un artista e la sua visione del mondo in quel contesto e come
tale va rispettata. Riscoprire Vivaldi nel ‘900 non è accorgersi che è stato
bravo! Lo era già! È semplicemente accorgersi dell’esistenza di “qualcuno” che
ha “qualcosa” da raccontare in una forma sublimata che non è parola, ma appunto
arte! I media digitali stanno rovesciando governi e opinioni (e questo non è di
per se un male), ma comprendere il valore del pensiero, evitare la censura (sempre pronta a condizionare e stabilire regole con muri purtroppo anche digitali), attraverso STRUMENTI e
CONOSCENZE, è ben altra cosa!
foto Daniele Vita - GT Agency |
Marco Brama
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