Alexander DORNER nella sua opera
maggiore THE WAY BEYOND ART si ispira al pragmatismo deweyano; egli utilizza un
modello interpretativo che intende sviluppare una possibilità di lettura della
vicenda umana in termini di auto trasformazione totale delle strutture
culturali, verso un concetto di libera evoluzione affrancata dalla tradizionale
opposizione tra ESSERE ASSOLUTO e DIVENIRE STORICO. Per Dorner c’è una comune
tendenza a ricondurre l’intero arco delle manifestazioni della cultura umana a
specifiche strutture spirituali innate e permanenti, senza appunto considerare
che si tratta di tipi storici e transitori di organizzazione dell’esperienza
(seppure ampiamente diffusi e consolidati nella tradizione). L’interpretazione
della cultura arcaica dal paleolitico superiore fino alle civiltà preelleniche
occupa un ampio capitolo centrale del lavoro di Dorner L’EVOLUZIONE DELA
REALTA’
Davenport - Giacomo Guidi |
MAGICA. Egli osserva le civiltà del Calendario, le grotte di Lascaux,
Niaux, Altamira. I disegni DEMONICI, sono stati creati per influire sulla vita
quotidiana e non possono essere paragonati a nessuna arte o al piacere estetico
che ne deriva. In questa proto-mentalità, che potremmo definire una Mentalità
Magica, la Rappresentazione di un animale non è fine a se stessa, ma incarna il
momento, quel momento specifico. Per le società arcaiche manca un’attitudine
selezionatrice; l’oggetto incarna tutto e non è un simbolo. Le rappresentazioni
sono incisive, aggressive e dinamiche, strettamente collegate all’efficacia
pratica del rituale. Le opere arcaiche sembrano inseguire la ricchezza, la fuggevolezza,
insomma l’impatto fulmineo di potenti impressioni colte nella loro simultaneità
al di qua di ogni esigenza di coordinazione o gerarchia; si ricrea una
rappresentazione EFFICACEMENTE VIVA. Tuttavia, secondo il critico tedesco, è
possibile cogliere nelle civiltà del calendario (Egitto, Messico, Mesopotamia)
il primo tentativo di creare un ordine nel caos dei potenti oggetti demonici,
un abbozzo di coordinazione e di gerarchia degli elementi. Tuttavia l’opera
arcaica vive in quel momento, è un opera dei sensi; nessun oggetto può essere
diviso in parti di cui alcune soggette a mutamento e altre no. Le produzioni
iconografiche sono atti creativi istintivi, non opere da osservare; nella
rappresentazione c’è tutto, la vita stessa, il bisogno vitale della caccia,
della riproduzione. Per lo storico dell’arte BRANDI l’immagine magica si
colloca all’inizio del processo di distinzione-costituzione delle due
fondamentali funzioni della coscienza umana: quella figurativa e quella
semantica. Alle produzioni del paleolitico o del neolitico non è possibile
attribuire valore o intenzionalità d’arte proprio perché esse si situano al di
qua di quella cruciale biforcazione: le pitture parietali offrono
contemporaneamente immagine e conoscenza della realtà; non si può negare la
potenziale figuratività di queste rappresentazioni, ma la sostanza conoscitiva
non è ancora di tipo SEMANTICO vero e proprio. La diversità fondamentale tra
arcaico e classico, per BRANDI, è la
chiarezza con cui si distingue segno e immagine; distinzione che ha valore
strutturale perché corrisponde al definirsi della COSCIENZA nella sua
fondamentale bidirezionalità. La civiltà greca compie quel passo decisivo e
incalcolabile costituito dalla più netta separazione delle due dimensioni della
coscienza: quella ARTISTICA, dove l’immagine si libera dei residui
referenzialistici sviluppando una diretta specularità che si innalza a forma, e
quella CONOSCITIVA nel lògos, che fa decadere, nella costituzione del concetto,
ogni connotazione figurativa. Per Dorner un punto di svolta sicuramente
parziale, ma significativo si verifica proprio nella fase egizia con lo
Christo e Jeanne Claude in Sidney |
sviluppo di una REGOLARITA’ nella successione delle immagini e nella loro
realizzazione all’interno di spazi delimitati quadrangolari. C’è un mutamento,
un approfondimento lento e multiforme e solo con l’avvento della civiltà greca
si assiste alla maturazione di un vero pensiero razionale. Non si ha più
gerarchia di figure, ma la trasformazione della superficie in simbolo. Nella
cultura greca si cerca l’assoluto, il razionale nella forma; così come la
filosofia cercava di scoprire gli oggetti ultimi, razionali, immutabili, così
l’arte tendeva a rappresentare l’essere interiore. Gli ENTI FISSI nella
mentalità antica, sono forme estetiche, ossia cose che possono ancora essere
percepite coi sensi nonostante la loro astrattezza spirituale, il pensiero
classico è quindi ancora legato alla dimensione della sensibilità; gli oggetti
della conoscenza SUPERIORE coincidono con quelli CERTI e le forme sono molteplici,
non ultime; quindi RAZIONALE e RAPPRESENTAZIONE SENSIBILE sono inseparabili. Per
Aristotele gli Dei della forma sono molti, in ragione del limite che ogni
forma comporta, non possono essere che molti. Per i Greci il mondo ambiguo
delle figure delle religioni mediterranee si scinde e si fissa nella
singolarità univoca delle divinità olimpiche: I SENSI DA REALI A FIGURATI
cadono, la molteplicità delle rappresentazioni si fa molteplicità delle
sostanze, quindi per CARLO DIANO le cose riducono intera alla SUPERFICIE
(quindi mettono fuori, visibile, rappresentato) la loro ESSENZA invisibile,
interiore. È il mondo delle forme che
sorge e con esso appare per la prima volta lo spazio separato dal tempo. Comincia
ad emergere il mondo di queste forme, che sono molteplici perché fatte da
molteplici sostanze. La dimensione dell’evento è la dimensione del divenire,
della mobilità a cui corrisponde un modello pratico e tecnico del sapere. ERIC
HAVELOCK in PREFACE TO PLATO sostiene però che nel linguaggio platonico FORMA E
IDEA sono termini che indicano GLI OGGETTI CHE SONO ben distinti e opposti
rispetto alla classe degli eventi e degli oggetti dell’esperienza sensibile,
ossia rispetto a quei fatti che avvengono piuttosto che essere e che sono
rappresentati per immagini invece di venir pensati. Platone chiama FORME i
SIMBOLI delle astrazioni morali per renderle definitive perché per Platone le
forme non possono essere create ma solo contemplate e comprese. La lettura platonica svolta da Havelock
arreca un ulteriore sostegno a quella proposta da Dorner del pensiero antico In
termini di pensiero estetico, giacché vien fuori l’assoluta centralità del
legame tra forma, stabilità e percezione qualitativa. Il pensiero Platonico
appare già pienamente contraddistinto da un processo di intima fusione tra
logica ed estetica e, parallelamente, da un consapevole distacco tra il
concetto di un autentico sapere e tutte quelle forme di esercizio culturale che
sono legate alle THECHNAI, alla POIESIS, alla costruttività e all’artificio. Attraverso
il pensiero filosofico viene perseguita la costituzione dell’immagine di una
forma solida che sfugge alla magica indeterminatezza. I solidi platonici
rappresentano fuoco, terra, aria, acqua e universo; l’affinità di filosofia ed
arti si manifesta non solo dell’aspirazione al raggiungimento di forme ultime e
ideali, ma nel presentarle come qualcosa di DIRETTAMENTE PERCEPIBILE. L’uso del
termine EIDOS (Forma/aspetto) in Platone rimanda a una situazione di questo
genere infatti, mentre cerca di oggettivare e separare la conoscenza superiore
dall’opinione comune, osserva Havelock, Platone tende anche a rendere la
conoscenza nuovamente visiva, da contemplare visivamente. La concezione razionale dell’universo in età
classica è anche una concezione estetica in quanto cerca una dimensione
armoniosa del mondo ultimo e ideale. Si può dunque affermare che già a partire
da Platone c’è lo sviluppo di una concezione estetica dell’assoluto. C’è una
piena identificazione di logica ed estetica, di struttura formale ed evidenza
sensibile, ma c’è una frattura tra ESTETICO e ARTISTICO (in senso materiale).
Attraverso due grandi opere della
maturità deweyana, ESPERIENZA E NATURA (1925) e LA RICERCA DELLA CERTEZZA
(1929) Dewey sostiene che la scienza antica accettò i dati dei sensi nella loro
apparenza esteriore e poi li organizzò, così come stavano naturalmente e
originariamente, classificandoli per mezzo di operazioni di classificazione
logica. Gli antichi Greci erano consapevoli dei difetti e delle lacune della
percezione dal punto di vista conoscitivo. Per loro le categorie usate nella
descrizione e spiegazione dei fenomeni naturali sono di natura estetica; una
concezione di carattere estetico coglie gli immediati tratti qualitativi delle
cose; attraverso un processo di selezione e organizzazione dei tratti
qualitativi delle cose in base a armonia, proporzione e simmetria. La verità
può essere ottenuta solo abbandonando la natura contingente delle cose. La
forma fu la prima e ultima parola della filosofia perché era stata la prima e
l’ultima dell’arte. Nella mentalità greca un oggetto è fatto perché se ne ha
bisogno, l’arte non è un’attività libera e fine a se stessa. L’artigiano esiste
solo in vista del prodotto ed il prodotto in vista del suo bisogno. Il fine del
processo, la forma, è il principio e la fonte di tutta l’operazione. L’uomo
libero è universalmente utente e mai produttore; l’utente è superiore, perché
libero, rispetto all’artefice, alle variegate espressioni dell’artigianato,
della poiesis. . Per ARISTOTELE nelle cose, nella natura è già presente il
senso che l’uomo può soltanto portare alla luce e non creare. Aristotele
condizionerà tutto il pensiero fino al ‘600 con l’idea che la sostanza è
costituita dalla pluralità della materia e dalle sue qualità: per lui non è
possibile trovarne l’omogeneità totale di fondo. Per i Greci gli oggetti della
scienza sono gli stessi oggetti del senso comune. Per i MODERNI gli oggetti non
sono da assumere come criteri di spiegazione, ma semplici punti di partenza. Il
carattere peculiare della scienza antica è contemplazione estetica degli
oggetti, supremamente reali. Con GALILEO e NEWTON la natura verrà vista come
una massa informe, regolata da leggi e qualità universali. Per gli antichi, manca la concezione di spazio e
tempo infiniti e assoluti tali da costituire un A-PRIORI universale e unitario.
La matematica e la geometria rimangono una classificazione naturale dei
fenomeni appunto naturali, come appaiono dall’osservazione diretta; misura,
simmetria rispondono a canoni essenzialmente estetici. I simboli e le forme
matematici e geometrici sono il primo passo verso l’emancipazione della scienza
dal senso comune. Per gli antichi tutti i fenomeni naturali dovevano essere
conosciuti in termini qualitativi come bello o brutto, forte o debole. Galileo e i suoi seguaci
dicono che queste forme sensibili sono problemi su cui indagare e non
soluzioni; bisogna cercare gli oggetti di conoscenza su cui fondarsi e con cui
proseguire nell’indagine. Per i greci invece il pensiero geometrico è visivo, realistico e non può essere astratto, manca nella filosofia greca il concetto
di ESPERIMENTO SISTEMATICO CONTROLLATO. La tecnologia non fu collocata alla
spiegazione razionale e questo può essere spiegato per l’interesse al lato qualitativo
degli oggetti già esistenti e non sperimentale e costruttivo; il carattere
delle arti nel mondo antico e nel medioevo è transitorio e strumentale. A partire
dal V-VI secolo d.C. si definisce e consolida un vero e proprio sistema delle
arti liberali e meccaniche che sono una COPPIA OPPOSITIVA appunto di
THEOREÌN (teoria) e POIEIN (fare, creare
umano) – tra EPISTEME (aspetto rigoroso e teorico della conoscenza) e TECHNE’
(arte del saper fare) – tra SUPERIORE e INFERIORE tra conoscere e fare. Nel Medioevo l’estetica è ancora incorporata
nella metafisica; solo a partire dal RINASCIMENTO con la crisi delle
organizzazioni artigianali medioevali, con la rivalutazione dell’antichità
classica, con il riconoscimento dei fondamenti scientifici delle arti
figurative si inizia a delineare la figura moderna dell’ARTISTA. Si comincia a
SCORPORARE la pittura, la scultura e l’architettura dal corpo delle arti
meccaniche riconoscendone maggiore e significativo valore intellettuale; pur
mantenendo un aspetto FABBRILE e OPERATIVO prevale ora la concettualità.
Osserva lo storico dell’arte ANTHONY BLUNT che per la figura poliedrica
rinascimentale di LEON BATTISTA ALBERTI il disegno è l’anello di congiunzione
tra architettura e matematica. La bellezza per Alberti è accordo e
armonia
delle parti in relazione a un tutto al quale esse sono legate; un tutto
naturale fatto di armonia, simmetria e proporzione. Anche Leonardo da Vinci
stacca la pittura dalle Arti Meccaniche perché per dipingere serve la
conoscenza della matematica, dell’ottica, dell’anatomia e molto altro. La rappresentazione statica e
tridimensionale della realtà inizia in Grecia e culmina nel Rinascimento. Solo
nel XVIII SECOLO si assiste al costruirsi e consolidarsi in Europa di 2
fenomeni complementari: l’apertura in filosofia dei territori del bello e
l’imporsi di una nozione diffusa di ARTE BELLA. Il sorgere e lo svilupparsi dell’estetica si
presenta come un evento legato al passaggio dal MONDO DEL PRESSAPPOCO
all’UNIVERSO DELLA PRECISIONE. Da questo momento c’è una separazione tra
oggetto fisico della scienza e oggetto dell’esperienza ordinaria. C’è
un’analisi matematizzabile di tempo, massa, moto e spazio. Questa rivoluzione
riduce la realtà degli oggetti a tali proprietà matematiche e meccaniche. Si fa
più netto il divorzio tra senso comune e contenuto della conoscenza. Nasce il
dualismo tra logica ed estetica mentre tramonta la visione prettamente
qualitativa. Questo dà impulso alla ricerca sperimentale svincolando gli
oggetti dalla loro visione “finale” e li mostra come PROBLEMI D’INDAGINE
modificando costumi e pregiudizi. Per CARTESIO esiste un DUALISMO
EPISTEMOLOGICO e METAFISICO tra corpo e anima. Il metodo della matematica e
della geometria costituiscono la realtà per eccellenza. Il PENSIERO è ASSOLUTO ed
è l’ESSEREche è distinto dal corpo. Senza le uniformità la scienza sarebbe
impossibile; allo stesso tempo se esistessero solo le uniformità del pensiero e
della conoscenza sarebbe priva di significato. Per Edmund HUSSERL, Cartesio
confonde il mondo e il pensiero. L’estetica è la teorizzazione filosofica
dell’arte bella. Gran parte della filosofia dell’arte dal '700 in poi trae le
sue motivazioni fondamentali dalla distinzione e opposizione tra LOGICA
SCIENTIFICA e PROSPETTIVA ESTETICA; questo scaturisce in gran parte dalla
necessità di rinaturalizzare gli oggetti, di restituire ai fenomeni profondità,
spessore, calore, caratteristiche che il nuovo metodo scientifico sostiene
essere ININFLUENTI per determinare la realtà. Altrettanto fondamentale è
l’avvento di una frattura tra logica ed etica in quanto quello che accade con
la rivoluzione scientifica è una generale divaricazione tra dimensione del
fatto dimensione del valore tra OGGETTIVITA’ E SOGGETTIVITA’; è questo per
DEWEY il problema decisivo del pensiero moderno. Il tutto può essere
sintetizzato: nella civiltà antica e medioevale e anche nella scienza classica
prevale una forma di organicismo culturale, la riflessione e il pensiero
mostrano un forte legame tra conoscenza e senso comune, interiorità ed
esteriorità, tra verità assoluta e sensi; il sapere è contrassegnato da un
forte naturalismo. La NUOVA SCIENZA trascura deliberatamente i caratteri e i
significati immediati dei fenomeni trasformando gli eventi negli oggetti
propri della conoscenza. L’OGGETTO della conoscenza è la REALTA’ per
eccellenza. Le qualità vengono espulse dagli oggetti della scienza e vengono
messe in un REGNO PSICOLOGICO contrapposto agli oggetti della fisica. Questo
potenziamento delle proprietà e delle relazioni matematiche al rango di UNICHE
strutture reali dell’essere provoca l’oscuramento della natura STRUMENTALE e
METODOLOGICA di quelle relazioni e la perdita del senso del loro radicamento
ultimo nel mondo della vita e delle qualità esistenziali. Questo va combattuto
perché tutte le forme da cui deriva il
pensiero scientifico non sono negative, illusorie, insignificanti, da negare. Bisogna cercare di intraprendere un
risarcimento del CONCETTO DI ESPERIENZA, riprendere il pragmatismo Deweyano e
fenomenologia Husserliana che hanno condotto, indipendentemente, una battaglia
contro dualismo metafisico, contro la tendenza a distinguere nettamente
intelletto da sensibile, fatto da valore, interiorità ed esteriorità.
High Gospel di Alberto Tadiello |
In Rifare la filosofia del 1920
Dewey analizza la sfera qualitativa-sentimentale, cioè estetica in senso largo, che è alla base della filosofia. L’uomo vive in un mondo fatto di sogni e
simboli (la fiamma ad esempio rappresenta il focolare, la casa). Osserva come
la memoria dell’uomo si forma grazie ad esperienze emotive e non intellettuali.
Sono le emozioni che formano il nostro io, e il nostro essere si forma
attraverso l’ESPERIENZA che per Dewey è vita, storia e cultura. L’esperienza è
precaria, fugace, molteplice e in divenire e l’uomo mostra il tentativo di
stabilizzarla di volta in volta. Dewey introduce il concetto di metodo
empirico in filosofia. Per il filosofo americano la filosofia è trovare leggi e uniformità
meccaniche che rendono il mondo familiare; trovare il fine che rende
un’esperienza perfetta, pienamente soddisfacente; il desiderio di fissare e
rendere stabili gli eventi. La sua METAFISICA NATURALISTICA sostiene che
l’esperienza è un mondo di eventi naturali inclusa la riflessione su di essi
che quindi è essa stessa naturale. L’EVENTO è un’esperienza estetica che si
verifica prima che la logica ne faccia l’analisi. La logica vuole rendere
razionale l’evento irrazionale, il sensibile. Il NATURALISMO EMPIRICO di D.
trova nell’arte la più compiuta incorporazione di forze e processi naturali.
Uno degli obiettivi del METODO EMPIRICO è mostrare l’inaffidabilità di teorie
che separano uomo e natura. L’esperienza è sia della natura che nella natura;
ciò che incontriamo quando facciamo esperienza è la natura. I tratti estetici e
morali dell’esperienza possono rivelarci aspetti della struttura meccanica
della natura stessa. Vediamo come l’ESPERIENZA
PRIMARIA, sensibile, (condannata da altre filosofie) ha un impatto immediato col mondo
mentre quella SECONDARIA, logica, sia riflessa e dovuta all’elaborazione. Per Dewey è un
punto di partenza e di arrivo di ogni processo; l’esperienza è CIO’ che l’uomo
agisce, subisce, gode sia il MODO in cui agisce e subisce l’esperienza. Un errore diffuso, sostiene, è la
tendenza a identificare la realtà con l’oggetto della
conoscenza. L’errore è confondere oggetti con concetti fatti su di essi
unificando REALTA’ EFFETTIVA (LOGICA) e CONOSCENZA (EMPIRICA). Il metodo
empirico si propone di esplicitare la scelta che è alla base di ogni
naturalizzazione e sostantificazione. I riti e i culti religiosi nascono
dall’incertezza, l’instabilità e la precarietà. La filosofia greca privilegia
eterno a temporale, stabilità a mutamento dimenticando che ne sono il
risultato. Nella metafisica
naturalistica di Dewey l’incompiutezza e la precarietà hanno la stessa importanza
della stabilità e della compiutezza. Ciò che è incompiuto, precario è
importante quanto ciò che è compiuto e stabile. Forse ARISTOTELE fu il più
vicino ad una forma di metafisica naturalistica; nella RETORICA in effetti
compaiono forme non EPISTEMICHE (non certe) di SILLOGISMO (ragionamento
concatenato) forme non certe di
ragionamenti basati su probabilità e possibilità; è anche autore di una poetica
basata sulla VEROSIMIGLIANZA e contenente una teoria della metafora come
strumento conoscitivo che ci consente di cogliere le differenze fra le cose più
che le identità, il movimento più che la stabilità, la singolarità più che la
loro generalità. Per DEWEY realtà e apparenza sono mere classificazioni, il
mondo dell’esistenza non conosce dislivelli o distinzioni, ma fusioni tra certo
e incerto. Precarietà e imperfezione attivano il desiderio, il desiderio di
stabilità e perfezione cioè qualcosa che ancora non c’è, che non abbiamo, che
deve ancora essere. Gli oggetti estetici hanno una qualità soddisfacente, sono
gratuiti e possono essere conquistati senza sforzo. L’uomo ha cercato di
trasformare le attività primarie in artistiche e l’esperienza estetica in ogni
esperienza per renderla piacevole, per consumarla, averla, possederla, goderla.
Prendiamo ad esempio l’attività della caccia. La caccia è un atto
necessario per il godimento finale che è il PASTO; ma l’uomo ha l’immaginazione
e cerca di trasformare tutto in un gioco; usando proprio l’immaginazione
trasforma in estetico l’atto della caccia che diventa essa stessa godimento.
Gli oggetti dell’immaginazione sfuggono alla realtà naturale. In ogni
singolo evento esiste qualcosa di irriducibile e immediato. Il materialismo e
l’idealismo condividono la stessa metafisica che trascura tali qualità
immediate in nome di relazioni essenziali e di uno spirito di sistema che fissa
in quadri stabili qualità dinamiche, molteplici, indefinibili ... ATTRAVERSO il
SIMBOLO, che domina l'arte e la società primitiva, che diventa non solo segnale, ma
incorpora i SENSI. I simboli sono sostituti e condensati di eventi reali e
acquistano più senso degli oggetti rappresentati. Per tutti gli eventi esiste
sempre qualcosa di totalmente immediato, singolare, unico. L’IMMEDIATEZZA
dell’esistenza è ineffabile, ma non mistica, straordinaria, incomparabile,
indescrivibile con parole semplici. Quindi KANTIANAMENTE questa immediatezza
riflette la possibilità dell’apparire delle cose. La CONOSCENZA non ha alcun
interesse per l’immediatezza esistenziale. Se volessimo standardizzare e quindi
togliere l’immediatezza dall’esperienza non saremmo in grado di farlo; bisognerebbe
avere un idea per ogni possibilità e questo manterrebbe solo un piano sensibile
e mai logico delle idee generali, tuttavia le cose possono solo essere INDICATE
e non DEFINITE. Partire dal carattere fondamentale della precarietà su cui si
basa qualitativamente l’esperienza. La sensazione che percepiamo da un oggetto
è piacevole o spiacevole ed è adeguata all’immediatezza con cui le cose si
manifestano a noi. La coscienza non è solamente razionalità, ma si sostanzia di
qualità immediate come sensazioni ed emozioni. Senza questo i contenuti della
conoscenza sarebbero solo spettri algebrici. Le qualità immediate, che la
tradizione moderna ha definito SECONDARIE, contengono tutto ciò che ha valore e
significato. I Greci scorporano l’atteggiamento estetico dall’esperienza
dell’arte e pongono questa su un piano inferiore rispetto alla scienza. Per
loro il godimento è quello intellettuale, razionale, legato alla sapienza.
Platone svaluta il piacere sensibile in quanto desiderio che implica un
movimento, ossia una non stabilità; al
contrario esalta la stabile contemplazione delle forme intellegibili. Per DEWEY è criticabile la pretesa della
filosofia di costituire un ordine superiore rispetto all’arte e creare una divaricazione
tra mutamento e stabilità con trasferimento del godimento verso compiutezza e
perfezione della metafisica classica. Si radicò convinzione che alla
compiutezza e perfezione, con cui si definì la metafisica classica, dovessero
corrispondere oggetti compiuti e perfetti. Gli OGGETTI sono i FINI ultimi non
le forme ultime della realtà. L’incertezza, la precarietà caratterizzano il
regno qualitativo dell’esperienza ed è da qui che ha origine tutto ciò che ha
valore e significato. Il linguaggio come sottolinea Paolo Marolda non
contribuisce alla costruzione dell’esperienza, ma la rispecchia semplicemente.
La metafisica naturalistica quindi sostiene che:
Performance Danilo De Mitri |
Marina Abramovic THE KITCHEN V Performance |
A- l'esperienza è imprevedibile e
in divenire variabile
B- la natura non è insieme stabile di oggetti definiti una volta per tutti, ma il godimento
C- non esiste un soggetto per il quale esistono a priori le cose sottratte al divenire ed alla contingenza estetica in cui tutte sono immerse.
Per Dewey la coscienza va cercata lungo le linee di frattura e di intersezione della nostra esperienza quotidiana. L’uomo è integrato nella natura, in natura non ci sono distinzioni tra quantità e qualità, tra bisogni e contingenza, ma ritmo che “lavora” le cose. L’uomo trasforma causa - effetto in mezzo – fine. L’arte è la possibilità dell’uomo di incorporare nella materia un suo ideale. Nell’esperienza estetica i valori sensibili acquistano un significato finale; coincide con l’esperienza immediata delle cose. In essa c’è sempre qualcosa che ci colpisce, di imprevisto, di eccessivo che spicca, che richiama la nostra attenzione. L’OGGETTO ESTETICO (CONOSCENZA SENSIBILE) è percepito nei suoi tratti sensibili-immediati, l’OGGETTO LOGICO nei suoi tratti razionali-universali (CONOSCENZA RAZIONALE). L’esperienza nella sua forma più perfetta coincide con l’opera d’arte. Per i greci l’esperienza è l’accumulo di saggezza pratica, l’intreccio di fare e sapere, saper fare qualcosa a regola d’arte. L’esperienza era quindi contrapposta alla scienza, veniva considerata meno importante perché legata ai livelli inferiori della natura corrotti dal caso e dal mutamento. L’arte in quanto esperienza rifletteva aspetti imperfetti della natura e quindi era considerata sinonimo di bisogno, mancanza, incompiutezza. Per i MODERNI la scienza è l’unica espressione della natura; l’arte è un arbitraria aggiunta alla natura e mentre viene disprezzata, in quanto esperienza, viene elogiata in quanto arte bella e creativa. C’è la separazione tra arte e fare pratico, tra arte e creatività e bellezza. Il carattere ideale dell’arte è il risultato di una scelta, di un’organizzazione dell’esperienza, una chiarificazione, intensificazione e concentrazione dell’esperienza; l’arte è legata sia alla pratica sia alla teoria. La dimensione estetica è connessa alla visione o all'ascolto; l’arte è il culmine supremo della natura, fatta di significati acquisiti e goduti. Per DEWEY si ha una vera esperienza solo quando essa è significativa, e sono significative le esperienze solo quando hanno come risultato una chiara visione o il godimento di una percezione. Per KANT il presupposto è la libertà di poter scegliere, essere liberi di dover scegliere il bene o il male, DEVI quindi PUOI. Se devi scegliere o il bene o il male significa che puoi farlo, puoi scegliere perché sei libero. Nella TERZA CRITICA Kant affronta un discorso sul bello che definisce "con misura" a differenza del sublime che è smisurato. Il bello è indipendente dalla morale. Cade il vecchio concetto, retaggio della Chiesa, per cui
Bello è
necessariamente Buono e Brutto è necessariamente Cattivo. L’arte diventa la capacità
di collegare instabile e durevole, vago e certo, singolare e universale. Per
Dewey si ha arte in ogni esperienza in cui mezzi e scopi, processo e prodotto
sono presenti contemporaneamente. L’oggetto artistico deve avere un carattere
indefinitivamente strumentale e questa strumentalità deve rinnovarsi sempre in
nuovi eventi soddisfacenti. Se fosse piattamente insignificante perderebbe la sua attrazione estetica. L’interazione tra SOGGETTO e OGGETTO DELL’ARTE è
indeterminata e termina con un mutuo adattamento dell’individuo e
dell’oggetto. Un oggetto CONSUMATORIO deve possedere una strumentalità che si
rinnova sempre. Ogni OGGETTO che produce la percezione di un bene immediato è
artistico. Tutte le attività intelligenti dell’uomo che si manifestano nella
scienza, nelle belle arti o nelle relazioni sociali, hanno come compito quello
di cambiare i legami CASUALI in una CONNESSIONE di MEZZI e conseguenze cioè
SIGNIFICATI. Nell’arte tutto è comune tra mezzi e fini. Se questo avviene in
modo compiuto si ha ARTE. Riassumendo:
A- Il pensiero umano tende a trasformare le casualità e le disorganicità in relazioni interne e significative
B- Tutto ciò che ha un senso coincide con la capacità di creare connessione tra mezzi e fini
C- Quando ci accorgiamo che l’esperienza che stiamo vivendo è per noi significativa, è un’esperienza artistica i cui mezzi e fini sono quasi indistinguibili.
B- la natura non è insieme stabile di oggetti definiti una volta per tutti, ma il godimento
C- non esiste un soggetto per il quale esistono a priori le cose sottratte al divenire ed alla contingenza estetica in cui tutte sono immerse.
Per Dewey la coscienza va cercata lungo le linee di frattura e di intersezione della nostra esperienza quotidiana. L’uomo è integrato nella natura, in natura non ci sono distinzioni tra quantità e qualità, tra bisogni e contingenza, ma ritmo che “lavora” le cose. L’uomo trasforma causa - effetto in mezzo – fine. L’arte è la possibilità dell’uomo di incorporare nella materia un suo ideale. Nell’esperienza estetica i valori sensibili acquistano un significato finale; coincide con l’esperienza immediata delle cose. In essa c’è sempre qualcosa che ci colpisce, di imprevisto, di eccessivo che spicca, che richiama la nostra attenzione. L’OGGETTO ESTETICO (CONOSCENZA SENSIBILE) è percepito nei suoi tratti sensibili-immediati, l’OGGETTO LOGICO nei suoi tratti razionali-universali (CONOSCENZA RAZIONALE). L’esperienza nella sua forma più perfetta coincide con l’opera d’arte. Per i greci l’esperienza è l’accumulo di saggezza pratica, l’intreccio di fare e sapere, saper fare qualcosa a regola d’arte. L’esperienza era quindi contrapposta alla scienza, veniva considerata meno importante perché legata ai livelli inferiori della natura corrotti dal caso e dal mutamento. L’arte in quanto esperienza rifletteva aspetti imperfetti della natura e quindi era considerata sinonimo di bisogno, mancanza, incompiutezza. Per i MODERNI la scienza è l’unica espressione della natura; l’arte è un arbitraria aggiunta alla natura e mentre viene disprezzata, in quanto esperienza, viene elogiata in quanto arte bella e creativa. C’è la separazione tra arte e fare pratico, tra arte e creatività e bellezza. Il carattere ideale dell’arte è il risultato di una scelta, di un’organizzazione dell’esperienza, una chiarificazione, intensificazione e concentrazione dell’esperienza; l’arte è legata sia alla pratica sia alla teoria. La dimensione estetica è connessa alla visione o all'ascolto; l’arte è il culmine supremo della natura, fatta di significati acquisiti e goduti. Per DEWEY si ha una vera esperienza solo quando essa è significativa, e sono significative le esperienze solo quando hanno come risultato una chiara visione o il godimento di una percezione. Per KANT il presupposto è la libertà di poter scegliere, essere liberi di dover scegliere il bene o il male, DEVI quindi PUOI. Se devi scegliere o il bene o il male significa che puoi farlo, puoi scegliere perché sei libero. Nella TERZA CRITICA Kant affronta un discorso sul bello che definisce "con misura" a differenza del sublime che è smisurato. Il bello è indipendente dalla morale. Cade il vecchio concetto, retaggio della Chiesa, per cui
Carla Paiolo - Performance in Venice - photo Daniele Vita |
A- Il pensiero umano tende a trasformare le casualità e le disorganicità in relazioni interne e significative
B- Tutto ciò che ha un senso coincide con la capacità di creare connessione tra mezzi e fini
C- Quando ci accorgiamo che l’esperienza che stiamo vivendo è per noi significativa, è un’esperienza artistica i cui mezzi e fini sono quasi indistinguibili.
La consapevolezza dei significati
duraturi è più di un godimento passeggero o un fine. L’idea diventa arte e
opera d’arte. Il fine costituisce la tendenza incessante verso il significato.
Tale processo è ciò che Dewey chiama ARTE e il suo prodotto OPERA D’ARTE, quindi bisogna essere consapevoli dei significati
dell’esperienza. Solo nella dimensione umana, in cui SENSIBILITA’ e
INTELLEGIBILITA’ stanno insieme armonicamente, riusciamo a sentire i nostri
impulsi, i nostri desideri come oggetti significativi. Noi non dobbiamo
percepire in un’opera un senso specifico-determinato, un fine particolare, ma
il senso delle tendenze in divenire che ci giunge dall’idea di completezza,
esaustività, forma, misura, globalità. Per Dewey non esiste una natura tale per
cui alcuni oggetti sono belli, altri buoni, altri veri; l’esperienza è
indifferenziata, è tutto senza distinzioni di natura. Le differenze dipendono
da come ci rapportiamo operativamente alle cose.
L’esperienza reale (e non quella
possibile) ha per Dewey una semantica molto ampia, tale da assorbire il
significato di vita, morte, storia, natura. L’esperienza comprende ciò che gli
uomini fanno e soffrono, ciò che ricercano, amano, credono e sopportano ed
anche il MODO in cui agiscono operano, subiscono l’azione esterna, cioè i
PROCESSI DELL’ESPERIRE. L’esperienza è un’entità a due facce che include
IO-MONDO, NATURA-UOMO, SOGGETTIVITA’-OGGETTIVITA’. Per la FILOSOFIA
DELL’ESPERIENZA l’esperienza è sia scienza, perché descrive fedelmente il
movimento del pensiero, sia arte in quanto escogita i mezzi di cui dovremmo
avvalerci. La coscienza indica sia le qualità sensibili-immediate, sia il senso
degli eventi, quindi è il luogo dove acquistano significato gli eventi, di cui
si compongono le nostre esperienze, eventi che sono per un momento completi e
sensati. Dall’analisi di ARTE COME ESPERIENZA, in cui parla della tesi relativa
all’esteticità del pensiero riflesso, emerge lapidaria la frase: “IL PENSIERO E’
ARTE IN MODO EMINENTE”. L’esteticità è illuminazione di senso che viene
proiettata all’indietro sulle cose dal significato che da queste è stato
generato. Il pensiero stesso è un’illuminazione, ma può anche essere nebbia che
nasconde, come l’idealismo di ogni tempo ha fatto. La prospettiva estetica del
pensiero sostiene che la conoscenza nasce e si sviluppa su presupposti
qualitativi, empirico-sensibili. Ogni fase di sviluppo del pensiero è una
conclusione significativa di ciò che facciamo. Il SIGNIFICATO è la conclusione
di un’indagine coronata da successo. L’esteticità del pensiero coincide allora
con il piacere estetico che accompagna la consapevolezza relativa alla
compiutezza, cioè la PER-FEZIONE nel senso di PERFICERE (ciò che è giunto a
conclusione). L’arte innesta possibilità nuove alle cose, riplasmandole in
contesti nuovi. Per Dewey è artistico tutto ciò che è umano. Anche la scienza è
fatta dall’uomo e per l’uomo e deve essere reinserita nel circolo vitale
dell’esperienza estetica e morale. Contemporaneamente bisogna abolire distinzione
tra arti legate ai mezzi e arti legate ai fini in se. L’esperienza estetica è
un’esperienza consumatoria in cui una situazione viene considerata come un
tutto; kantianamente potremmo dire una TOTALITA’ INTERCONNESSA. Per Dewey la
storia dell’esperienza coincide con lo sviluppo delle arti. In tale prospettiva
la scienza è semplicemente uno sviluppo differenziato all’interno delle arti. La
componente estetica è presente in ogni tipo di esperienza; la peculiarità è che
in un’esperienza artistico-estetica si verifica l’ENFATIZZAZIONE DEL MOMENTO
FRUITIVO-CONSUMATORIO, in cui qualcosa di particolare assume significato
universale. L’esperienza rappresenta la conclusione significativa degli eventi
naturali e umani, la finalità. È un’interdipendenza del fare (artistico) e del
patire (fruizione). L’opera d’arte è allora un contingente che aspira al
necessario. Ogni oggetto, ogni evento sono speciali e unici, una parte in un
contesto. Dopo che abbiamo contestualizzato l’oggetto e ci siamo posti in
sintonia o distonia con esso, lo consideriamo CONOSCITIVO. Non va però ritenuto
che esistono due tipologie separate di conoscenza una IMMEDIATA (estetica) e
una MEDIATA (logica). La qualità per Dewey è ciò che pervade l’esperienza e dà
il tono a tutti gli elementi di una situazione. La qualità di quella
particolare situazione non è mai generale, ma singolare, anzi, talmente unica
da non poter essere espressa in parole. Per comprenderla dobbiamo tenere
insieme sentire e pensare. Un problema va sia sentito sia enunciato; questi
sono due momenti diversi all’interno dello stesso processo. Emilio Garroni in
“Estetica uno sguardo attraverso” sostiene che l’estetica non è una scienza del
bello, teoria o sistema delle arti belle, ma filosofia generale. La metafora
che meglio esprime viene presa da Garroni in “Ricerche filosofiche” di
Wittgenstain: il guardare attraverso. Essendo immersi nell’esperienza non
possiamo guardarla dall’esterno; è, come direbbe Dewey una “situazione
onnipervadente” dell’esperienza. Noi possiamo comprendere l’esperienza solo
quando, stando all’interno, tentiamo di salire in superficie. L’estetica è da
questo punto un “guardare-attraverso nel guardare”. Il compito di una teoria
generale dell’arte sarà quello di ricostruire la continuità tra le opere d’arte
da una parte e i fatti, le azioni, le passioni quotidiane dall’altra. La
scissione tra ARTE e VITA (ma anche tra creatori d’arte e spettatori) è oggi
visibile nei musei. Il museo, istituzionalizzando l’arte, ne delimita lo spazio separandolo dall’esperienza quotidiana.
Dewey prende la distanze da chi si vanta di mantenere e sviluppare la
separazione dell’arte dagli oggetti dell’esperienza ordinaria. Le ragioni per
cui l’arte è stata collocata su un piedistallo fuori dal mondo sono da
collegare ad una sorta di sacro timore per tutto ciò che è ideale e spirituale
e la correlativa avversione per tutto ciò che è corporeo, sensibile,
materiale. Nel libro “Come si forma
un’esperienza” propone una differenza tra esperienze in genere e singola
esperienza. L’esperienza, che per poter essere definita tale deve giungere a
compimento, è una totalità indifferenziata in movimento in cui siamo sempre
immersi, è un continuum in cui tutto scorre; se però ci sono delle fratture che
ostacolano il normale fluire, se ci sono conflitto e resistenza che mettono in
questione aspetti dell’io e del mondo, questi aspetti qualificheranno
l’esperienza con emozioni e concetti che chiamiamo di solito INTENTO
CONSAPEVOLE. Ciò che differenzia
un’esperienza e la fa “UNA” è la qualità che pervade l’intera esperienza
nonostante il variare delle parti costitutive di essa. La conclusione è la perfezione di un
movimento; anche un’esperienza di pensiero ha la propria qualità estetica,
cambia il materiale messo in opera: qualitativo/immediato (ARTISTICO),
simbolico/mediato (INTELLETTUALE). Per Dewey nessuna esperienza di nessuna
specie costituisce un’unità se non ha una qualità estetica, il cui collante è
di carattere emotivo. L’emozione è la forza che fa muovere e che cementa,
sceglie e tinge del suo colore quello che ha scelto dando così unità a
materiali esteriormente disparati e dissimili. In tal modo infonde unità alle e
attraverso le varie parti di un’esperienza. Quando l’unità è di questo tipo
l’esperienza ha carattere estetico. Non è escluso il pensiero! Per Dewey non ci
sono emozioni senza pensieri e pensieri senza emozioni. L’idea che un artista
si lasci solo ispirare è ridicola, sarebbe
come se creasse senza sapere cosa fa. Egli pensa con intensità e penetrazione
tanto quanto un ricercatore. L’esperienza artistica ha come suoi elementi
fondamentali AZIONE e PASSIONE che devono stare in una relazione d’equilibrio.
È questa relazione che dà significato all’esperienza artistico-estetica e
afferrarla è obbiettivo dell’intelligenza. Nessun ragionamento può raggiungere
la verità senza la fantasia e ogni esperienza artistica contiene
un’indispensabile componente intellettuale-conoscitiva. La specificità
dell’arte è una specificità EMPIRICO-TECNICA (SEMANTICA per della Volpe) che dipende dal modo con cui il sensibile viene organizzato in un tutto coerente,
significativo, che richiede la presenza dell’intelletto. L’organicità di cui
parla Dewey è di natura tecnica; dipende dai materiali usati, dai mezzi
tecnici; c’è dunque una specificità dei diversi mezzi espressivi che condiziona
e orienta il fare dell’artista. Gli oggetti d’arte sono espressi, sono un
linguaggio o meglio, molti linguaggi. Ogni arte è una particolare forma
linguistica che rappresenta uno specifico nodo di intervenire sulla materia. Il
materiale appartiene al mondo dell’esperienza comune, la forma, il modo di
organizzare tale materiale appartiene all’artista. La qualità di un’opera
d’arte è sui generis perché il materiale generico viene trasformato in una
sostanza nuova dalla maniera in cui viene trattato. La bellezza indica
un’emozione caratteristica e denota la totale qualità estetica di
un’esperienza. È il movimento della materia giunto al suo culmine, una fusione
di materia e forma, senso e pensiero. Attraverso l’arte, significati di oggetti
che altrimenti sono muti, indeterminati, contrastanti, si chiariscono
mediante la creazione di una nuova esperienza. La prima caratteristica
generale del mondo circostante, che rende possibile la produzione della forma
artistica è il ritmo. Il ritmo, lo scorrere il fluire, il battere di un cuore
che condiziona tutta la vita già dallo sviluppo embrionale ed è alla base di
ogni organismo vivente … i ritmi naturali di alba, tramonto, giorno, notte,
Sole, pioggia sono condizioni ritmiche dell’esistenza. L’uomo gradualmente assimilò
i ritmi della natura per dare ordine e senso al rapporto con essa, cioè alle nostre
diverse esperienze. L’uomo comincia a imporre un ritmo ai mutamenti nei quali la scansione non
appare naturalmente. Il ritmo diventa artificiale perché solo organizzando ritmicamente
le nostre esperienze queste possono acquistare una forma coerente e ordinata. I
ritmi furono SUBITI e RIPRODOTTI generando il senso della vita come dramma, i tempi della natura vennero cioè impiegati come
modelli esemplari per introdurre un ordine evidente nelle osservazioni incerte e
indeterminate dell’uomo.
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